Quando l’innovazione varietale ce l’abbiamo in casa gratis e….royalty free

a cura di Rocco Devito

Nei giorni scorsi ho partecipato ad un importante momento di riflessione per tutta la filiera dell’uva da tavola, chiamata a raccolta dal CREA Viticoltura ed Enologia di Turi per condividere i risultati intermedi e gli obiettivi attesi dal progetto PON chiamato “POFACS: conservabilità, qualità e sicurezza dei prodotti ortofrutticoli ad alto contenuto di servizio”.

Un incontro pregno di spunti di riflessione, soprattutto perché emergeva con forza l’approccio “complesso” al tema dell’innovazione per l’uva da tavola. Un approccio transdisciplinare, molto articolato e, se vogliamo, anche armonico perché tenta di inculcare il principio che per far ricerca applicata si deve (finalmente) orientarla verso i diversi anelli della filiera. Una prospettiva che noi di Foglie sposiamo in toto e che stiamo incanalando in un vero e proprio progetto pilota che cerca di coinvolgere in un calendario di eventi breeder, vivaisti, produttori, ma anche la GDO e, finanche, i consumatori. Con piacevole sorpresa abbiamo constatato che anche il mondo della ricerca sta allargando il proprio raggio di azione, preoccupandosi non solo di innovare il prodotto attraverso nuovi genomi, ma anche di creare varietà sulla base dei fabbisogni del mercato e della capacità dei consumatori di interpretare prima e di apprezzare poi le peculiarità del prodotto. Un obiettivo ambizioso quello di lavorare per un target chiaro, ovvero sperimentare varietà performanti per la IV gamma. Un traguardo sicuramente difficile, ma non impossibile. Le competenze (e lo hanno dimostrato i ricercatori a capo dei diversi gruppi di lavoro) ci sono, come anche il supporto del pubblico e del privato. Una sinergia che trova sintesi nel Consorzio Nuvaut, nato da una sinergia finalmente operativa tra imprese agricole ed il mondo della scienza. E’ proprio il settore della ricerca che può fare da ago della bilancia per il destino del comparto, oggi più che mai dipendente da multinazionali che detengono i brevetti delle varietà apirene più importanti sul mercato. Per questo l’interesse del CREA di lavorare sull’ibridazione dei genomi tra varietà autoctone e varietà che possiedono le caratteristiche chieste (o imposte) dal mercato può creare quel valore aggiunto strategico per aggredire nuovi segmenti con varietà nuove, ma che derivano da prodotti tipici dei nostri territori. Il metodo critico del CREA è la discriminante per la buona riuscita del progetto: come sosteneva la ricercatrice Teodora Basile solo una analisi scientifica dei feedback dei consumatori che hanno aderito ai panel test può farci capire che performance economiche possono avere sul mercato.

Finalmente la scienza con un approccio olistico e multidisciplinare sta facendo il suo per portare il settore a fare un upgrade. Ma resta importante il coinvolgimento di tutti gli operatori, non solo degli imprenditori più illuminati che un posto al sole già ce l’hanno. Queste nuove varietà derivanti da progetti (e finanziamenti) pubblici sono a disposizione di tutta la filiera, gratis e senza royalty (un produttore può utilizzarle previa iscrizione al consorzio sostenendo così solo i costi che vanno a compensare gli investimenti che gli altri consorziati hanno già sostenuto) Molto spesso ci lamentiamo che in agricoltura c’è uno scollamento tra produzione e ricerca, ora che i due anelli si stanno avvicinando non ci sono più alibi. Tocca agli imprenditori fare gli imprenditori, supportando con convinzione il lavoro del CREA Viticoltura ed Enologia.

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