Con le crisi in atto aumentano le disuguaglianze alimentari

Secondo lo studio del Censis, è a tavola che si vedono sempre più le differenze di ceto: sono sempre meno gli italiani che mangiano carne, pesce, frutta e verdura. Sono 1,6 milioni le persone che nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne, mentre 10,6 milioni hanno diminuito il consumo di pesce; 3,6 milioni quello della frutta e 3,5 quello della verdura. Rischiamo che la famosa Dieta Mediterranea resti solo un ricordo per le prossime generazioni.

Con l’aggravarsi della crisi economica c’è un allarmante aumento della disuguaglianza alimentare: l’accesso ad alimenti di qualità e sicuri, frutto di allevamenti che garantiscono il benessere animale o di pasta senza glifosato contenuto nel grano canadese oppure OGM importato da altri competitor extra UE, deve poter essere garantito a tutti. 

Il rincaro dei generi alimentari, dell’energia e delle materie prime ha colpito quasi tutti i settori nei paesi dell’Unione Europea e non solo in questi.

Le conseguenze sul potere d’acquisto nonché sul tenore di vita dei cittadini e delle famiglie sono evidentemente pesanti, se pensiamo che anche la condizione retributiva per i lavoratori peggiora di pari passo, come mette in luce una ricerca della Fondazione Di Vittorio.

La congiuntura attuale si ripercuote sulle scelte di consumo dei cittadini (specialmente di coloro che hanno dei figli a carico), i quali stanno adottando atteggiamenti sempre più improntati al risparmio e alla prudenza, ma non per virtù previdenziali, bensì a causa delle aspettative negative che nutrono sul prossimo futuro. Infatti, è tendenza diffusa il ridimensionamento degli acquisti di beni e servizi non di prima necessità: il 60% della spesa è attualmente destinato a soddisfare bisogni essenziali.

Alla luce di tali tendenze l’O.N.F – Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha condotto un monitoraggio dei prezzi di un paniere standard di prodotti primari nei supermercati italiani, spagnoli, francesi e tedeschi, per analizzare l’impatto delle dinamiche inflazionistiche sui redditi netti nei diversi paesi. La Germania, in base alla ricerca effettuata, risulta la nazione in cui fare la spesa è più dispendioso (con una media di 131,43 euro), seguita da Francia (104,65 euro), Italia (93,72 euro) e Spagna (88,85 euro).

Sebbene queste cifre sembrino seguire un andamento proporzionato a quello dei salari, in realtà è differente l’incidenza percentuale che la spesa-base alimentare, ipoteticamente sostenuta una volta alla settimana per dodici mesi, ha sul totale del salario medio annuo netto dei quattro paesi indicati: secondo gli studi dell’O.N.F., l’impatto più significativo si registra proprio nel nostro Paese. In Italia, infatti, la spesa alimentare incide sul reddito netto annuo per il 20,19%; segue la Spagna, con un impatto del 19,88%, quindi la Germania, con un impatto del 19,51%, e infine la Francia, con un’incidenza del 16,03%. Sono dati che evidenziano come gli incrementi su tali consumi indispensabili abbiano un impatto più marcato sui redditi meno elevati. 

Secondo Coldiretti a pesare è anche l’effetto siccità che, evidentemente, ha un impatto sul carrello. La siccità con il taglio dei raccolti spinge l’inflazione nel carrello della spesa alimentare con un aumento complessivo del +9,6% tra prodotti freschi, come frutta e verdura, e lavorati in una situazione resa già difficile dai rincari legati alla guerra in Ucraina che colpiscono duramente le imprese e le tavole dei consumatori. Tutto ciò costerà nel 2022 alle famiglie italiane quasi 9 miliardi di euro soltanto per la spesa alimentare, secondo l’analisi della Coldiretti.

Frutta e verdura quest’anno costeranno complessivamente alle famiglie dello Stivale 1,97 miliardi in più – sottolinea Coldiretti – e precedono sul podio pane, pasta e riso con un aggravio di 1,65 miliardi, e carne e salumi per i quali si stima una spesa superiore di 1,54 miliardi rispetto al 2021. Al quarto posto la frutta – continua Coldiretti -, con 0,92 miliardi, che precede latte, formaggi e uova (0,78 miliardi), pesce (0,77 miliardi) e olio, burro e grassi (0,59 miliardi) che è però la categoria che nei primi sei mesi del 2022 ha visto correre maggiormente i prezzi. Seguono con esborsi aggiuntivi più ridotti le categorie “acque minerali, bevande analcoliche e succhi”, “zucchero, confetture, miele, cioccolato e dolci”, “caffè, tè e cacao” e “sale, condimenti e alimenti per bambini”.

A cura della Redazione di Foglie TV

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