Si profila un’annata ancora positiva per le mele italiane

Ismea, punti di forza del settore la capacità aggregativa e l’ampia gamma varietale. Decisiva anche la capacità di stoccaggio in strutture tecnologicamente avanzate.

Un comparto che, seppure in un contesto di maggiore pressione a livello continentale, in previsione di una produzione europea di almeno un milione di tonnellate in più rispetto alla scorsa campagna, potrà ancora beneficiare di un vantaggio sul piano qualitativo e della consolidata capacità di gestione dell’offerta in forma aggregata. Una caratteristica, quest’ultima, che nonostante l’estrema polverizzazione del tessuto produttivo nella fase agricolafavorisce l’ottimizzazione dei deflussi e garantisce, in condizioni di mercato regolari, un’adeguata remunerazione ai produttori italiani.

Secondo un’analisi Ismea focalizzata sugli sviluppi della nuova campagna di commercializzazione, tra le molteplici specie frutticole prodotte in Italia, le mele rivestono un ruolo di primissimo piano. La loro presenza sul mercato copre di fatto tutti i mesi dell’anno, grazie all’ampia gamma variatele e alle innovative tecnologie di conservazione dei frutti, che nei centri di stoccaggio consentono di preservare la qualità anche per lunghi periodi.

L’evoluzione strutturale dei meleti in Italia ha fatto emergere quest’anno un lieve calo delle superfici in produzione, scese dell’1,3% rispetto al 2020. Un fenomeno, spiega l’Ismea, che va inquadrato tuttavia nell’ambito di un processo di riconversione varietale che sta riducendo il peso delle cultivar tradizionali a favore di nuove varietà maggiormente gradite al consumatore finale. A livello territoriale emergono tuttavia andamenti differenziati. In particolare, a fronte di un incremento delle superfici in produzione in Trentino e in Emilia-Romagna si è riscontrata in Alto Adige, il territorio a maggiore vocazione melicola a livello nazionale, una contrazione del 5% rispetto alla media triennale 2018-2020. In flessione dell’8% anche il potenziale produttivo in Campania, dove il comparto assume tuttavia un ruolo economico meno significativo, anche in considerazione della minore propensione all’esportazione che caratterizza invece le regioni del Nord e in particolare il Trentino-Alto Adige.

Sui raccolti 2021 i dati di Assomela, seppure non ancora definitivi, confermano un quantitativo attorno ai 2 milioni di tonnellate, inferiore del 5% ai volumi della scorsa campagna. Limitati e circoscritti solo ad alcuni territori i danni alle coltivazioni sia per eventi climatici avversi sia per attacchi parassitari, in particolare da cimice asiatica. A livello europeo, al contrario, secondo le stime del World Apple and Pear Association (Wapa), la produzione dovrebbe crescere di circa il 10%, attestandosi a 11,7 milioni di tonnellate, grazie soprattutto ai migliori raccolti in Polonia, primo polo produttivo nell’UE, e ai progressi previsti in Spagna e Ungheria.

Tornando all’Italia, un aspetto da rilevare è l’ulteriore espansione della produzione melicola ottenuta con il metodo di coltivazione biologico, con l’ultimo raccolto ammontato a poco più di 200.000 tonnellate, circa il 10% della disponibilità totale. Un risultato che rafforza la leadership dell’Italia nel contesto europeo, attribuendo alla melicoltura tricolore una quota di oltre un terzo all’offerta di mele biologiche stimata a livello continentale.

La mela – osserva ancora l’analisi – è il prodotto che nel settore ortofrutticolo realizza il saldo attivo della bilancia commerciale italiana più elevato.

Da agosto 2020 a luglio scorso (periodo che copre l’intera campagna di commercializzazione 2020-2021) l’avanzo valutario ha sfiorato la soglia dei 900 milioni di euro (+20%), grazie all’esportazione di circa un milione di tonnellate di mele.

Rispetto alla campagna 2019-2020, le quantità esportate sono cresciute del 14%, mentre il fatturato (poco meno di 920 milioni di euro), grazie anche all’aumento dei prezzi, ha messo a segno un progresso del 19%.

Sul mercato interno le vendite di mele, dopo il forte aumento registrato nel periodo del primo lockdown, hanno sperimentato una fisiologica contrazione, riducendosi di circa il 6%. A frenare i consumi hanno anche contribuito gli aumenti dei prezzi, con rincari di oltre il 3% su base annua e del 5% rispetto alla media delle precedenti tre annate.

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