L’EDITORIALE | Puglia, se ci sei batti un colpo

Nord contro Sud. Oppure no? Provocatoriamente come redazione in quel di Rimini abbiamo posto alcune domande a Luigi Catalano in occasione del simposio internazionale che ha visto l’Emilia Romagna attirare su di sé le luci della ribalta della filiera cerasicola mondiale.

Giustamente Catalano ci invitava ad evitare sterili campanilismi tra regioni del Nord e quelle del Sud. Lo ricordiamo a noi stessi, più che altro, che la Puglia è la regione maggior produttrice di ciliegie in Italia, e detiene con le sue quasi 32mila tonnellate il 35% della produzione italiana, il 62% delle superfici investite pari a circa 19mila ettari di terreno ed un fatturato di circa 22 milioni di euro.

Ma i numeri, questi numeri, non rappresentano una fotografia reale di come si sta evolvendo il comparto cerasicolo in Italia, all’interno del quale la nostra regione sta perdendo importanza. Perché così è! La nostra filiera si sta, man mano, allontanando dalle logiche e dalle dinamiche del mercato europeo e globale. Il vero problema non sta nel fatto che ai produttori vengano pagate un euro e sugli scaffali della GDO vengano vendute ad un prezzo dieci volte superiore.

Il problema sta nel fatto che i nostri prodotti non sono appetibili sui mercati internazionali: il vulnus della produzione pugliese sta nella piccola calibratura che ha quotazioni medie molto basse, rispetto ai grossi calibri tanto apprezzati anche all’estero. Purtroppo i gusti e le tendenze cambiano, ed ahivoglia a dire che le ciliegie nostrane sono più saporite ed hanno proprietà organolettiche invidiabili, se poi hanno una calibratura dai 22 ai 24 rispetto al range 28-32 dell’Emilia Romagna.  Senza poi contare gli scarti da sotto calibro, e qui sia apre un altro mondo. Anni addietro tir e tir partivano alla volta della Gran Bretagna, Germania e Nord Europa. Oggi non è più cosi. I diretti competitor hanno investito su ricerca, innovazione varietale, meccanizzazione, politiche commerciali e chi più ne ha, più ne metta. Diversi paesi si sono inventati di sana pianta un settore produttivo, recuperando un gap storico attraverso la scienza ed il danaro.

Infine c’è il capitolo della meccanizzazione. La raccolta in Puglia costa quasi 1 euro, a fronte di 20-30 centesimi di paesi più meccanizzati. Da qui è facile fare due conti: giustamente gli agricoltori portati all’estremo in passato si sono resi protagonisti di gesti eclatanti perché se raccogliere costa 1 euro e si vende il prodotto a 1 euro, chiaramente si va sottocosto e per l’impresa non c’è tenuta economica. Ma la strada la stanno indicando le regioni settentrionali e non a caso in una delle ultime copertine abbiamo rappresentato un cartello direzionale che porta al nord (clicca qui), inteso come modello di riferimento da seguire nella filiera cerasicola.

Vero è anche che in Puglia abbiamo esportato un caso studio: la filiera dell’uva da tavola il cui boom è dovuto all’innovazione varietale ed all’utilizzo di metodiche di copertura degli impianti, tanto è vero che nella nostra regione ci sono realtà imprenditoriali di primissimo livello in questo senso.

Dunque, nulla è ancora perduto. Siamo nell’angolo del ring. Sta a noi decidere se uscire dalle strette in cui il mercato ci ha messo attaccando o se buttarci per terra, gettando la spugna. Chiaramente è una domanda retorica, ma provocatoriamente chiediamo: Puglia, se ci sei batti un colpo, prima che suoni in gong.

A cura della redazione di Foglie TV – Sfoglia la rivista

Potrebbe interessarti anche...