Intervista a Giorgio Mercuri Presidente del settore Agroalimentare Alleanza Cooperative

D – Sugli effetti dell’aumento della bolletta energetica, dal petrolio al gas fino all’energia elettrica a subire gli effetti dei rincari è l’intera filiera agroalimentare, dai campi all’industria di trasformazione fino alla conservazione e alla distribuzione. In tutta Italia non c’è settore al riparo…

R – Il settore agricolo ed agroalimentare ha saputo rispondere durante la pandemia in modo attento e strutturato, ha saputo vincere le difficoltà che allora pensavamo fossero le più gravi e le più grandi. Oggi, di fronte a questi nuovi fattori problematici, il settore si dimostra, invece, debole. La situazione che si sta delineando creerà preoccupazione ai consumatori dinanzi agli scaffali. La stragrande maggioranza delle aziende sta subendo aumenti di costi tali da metterle nelle condizioni di non potere produrre. Se analizziamo la situazione del comparto primario bisogna riflettere sul fatto che l’impresa agricola deve affrontare spese prima della raccolta volte all’acquisto di fertilizzanti, carburante, paghe per i lavori ante raccolta. Costi che lievitano giorno per giorno senza neanche criterio logico, ma con l’ombra di dinamiche speculative. In alcuni casi ci sono aziende che paventano mancanza di prodotto, ma se pagati in anticipo a quotazioni che dicono loro, allora il prodotto esce fuori dal cilindro. Certo, laddove c’è produzione organizzata, con produttori che si sono messi insieme, si è potuto scontare un prezzo di acquisto migliore. Ma

Oltre al danno c’è la beffa perché queste imprese agricole che hanno conferito ad aziende di trasformazione si sono trovate di fronte al rincaro dell’energia che ha impattato in modo spropositato sulla gestione dei costi per la trasformazione. Una situazione drammatica: il costo dell’energia elettrica dai 5 ai 6 centesimi più oneri accessori è passato ai 18-19 centesimi; oggi 1 kwh vale 31 cent, ovvero 600 volte … a questi vanno sommati tutti i costi aggiuntivi stando in range che va dai 40 ai 45 cent per kwh. Per una azienda che ha macchine atte alla trasformazione e gestione del fresco (ortaggi, frutta) sono costi insopportabili che non si possono scaricare sul prodotto che va sullo scaffale. Dovremmo pensare di portare un aumento del 30% che non sarebbe impossibile … se la GDO ci venisse incontro, ma rischieremmo di ottenere una inflazione da consumo che penalizzerebbe ancora di più i consumi perché il consumatore sarebbe costretto a fare delle scelte tra cosa acquistare e cosa no.

Ci sono passaggi nel processo di trasformazione dei prodotti in cui incide fortemente il costo del metano: dai 17 cent del 2021 (prezzi senza accise), pochi giorni fa era quotato a 84 cent, la settimana scorsa sforava oltre l’euro. In prospettiva non scendere sotto 80 cent: è aumentato di 400 volte. Su alcuni prodotti trasformati un costo che incide del 100%: prendiamo la passata di pomodoro se fino a ieri costava 65-70 cent la bottiglia oggi vale 1.30-1.40 €

Si capisce che versiamo in una situazione drammatica. Molte aziende dovranno fermarsi. Al 31 dicembre siamo venuti fuori dal blocco dei mutui, dobbiamo adesso restituire tutto pagando il sospeso e affrontando i nuovi costi di gestione per produrre. Ma la Pmi non ha disponibilità di credito. Molte aziende si fermeranno con un danno economico e sociale perché si perdono posti di lavoro o, nella migliore ipotesi, attivando gli ammortizzatori sociali. 

La comunicazione  sui media forse non è chiara: parliamo di 600 volte i costi che avevamo nel 2021.

D – Anche in questa situazione le imprese più penalizzate sono le PMI. Secondo dati Eurostat, stanno pagando l’energia elettrica il 75,6% in più e il gas addirittura il 133,5% in più delle grandi.

R – È vero, perché le grandi aziende fanno acquisti collettivi, affidandosi a consorzi di acquisti. Già nella normalità pagavano meno perché acquistano milioni di megawatt che gestiscono nell’anno solare. Ma la MPI va sulla fornitura delle normali società di gestione. Il mercato permette di arrivare ad acquisti massicci solo per le grandi aziende.

D – In una lettera a Draghi ha asserito che “La situazione, ove non fronteggiata, frenerà inevitabilmente anche l’export dei prodotti agroalimentari, col rischio di compromettere in breve tempo gli importanti risultati conseguiti negli ultimi dieci anni dalle nostre produzioni sui mercati internazionali. Quale sarà secondo lei l’impatto sull’export?

R – Noi avremo un forte impatto sull’export dei prodotti freschi perché i nostri prodotti necessitano di aumento dei prezzi dovuti all’energia, ma non solo: col caro petrolio c’è l’aumento del costo per la logistica, gli imballaggi (le aziende produttrici di cartone si stanno fermando perchè non ci stanno neanche nei costi rispetto all’energia che consumano) portano ad aumenti notevoli del prezzo del prodotto che non trova possibilità di competitività rispetto ad altri paesi. Molte nazioni hanno una politica energetica interna con accise più basse e riserve interne che stanno mettendo in campo. L’Italia ha scelto di essere prettamente importatrice in alcune tipologie come metano. Tutto questo ci farà perdere quote di mercato sul fresco, paesi competitor come la Spagna e Nord Africa possono compromettere la nostra posizione. 

Per le verdure rischiamo di perdere il 50% di quote mercato. Per la frutta dipende dai prodotti. 

In alcuni casi, come per i kiwi, non ci sono tanti paesi in grado di sostituire la nostra produzione,

se parliamo di uva da tavola, arance, prodotti quindi più mediterranei, possiamo perdere forti quote mercato o addirittura azzerare.

D – Come si stanno muovendo le altre nazioni?

Buona parte della nostra bolletta deriva dagli oneri. In Spagna c’è minor costo, perché aveva creato meccanismi di auto-approvvigionamento. In Italia abbiamo sempre vietato centrali elettriche da nucleare: oggi l 80% dell’energia elettrica è sviluppata da centrali elettriche a metano. Abbiamo energia eolica e fotovoltaica limitata, non raggiungiamo il 15% rispetto a quello che importiamo. Siamo il paese che ha più metano in Europa, ma non possiamo utilizzarlo perché abbiamo bloccato le trivellazioni. 

D – In Italia, ciò influisce anche sulla filiera della logistica che nel nostro paese presenta evidenti gap rispetto ai nostri paesi competitor

Su questa filiera c’è una Italia divisa in 2. Non dimentichiamo che è molto lunga, c’è una parte più vicina ai mercati di consumo; l’altra, dall’Abruzzo in giù, deve affrontare molti chilometri sino alla collocazione del prodotto. La logistica è anche stoccaggio: il sud è fatto di piccole aziende ognuna col proprio centro di stoccaggio. I contratti di filiera sono strumenti aggreganti per poter meglio gestire questi costi, sta quindi alla capacità delle imprese di creare strumenti logistici condivisi (stoccaggio, groupage prodotti da spedire, strumenti di trasporto). Col Pnrr  abbiamo una occasione da sfruttare.

D – Dott. Mercuri, lei ha annunciato 6 mesi di stop con conseguente riconversione dei campi dei soci conferitori a grano. Come inciderà questa scelta sulla sua impresa?

E’ stata una scelta ben ponderata. Abbiamo fatto più di una riunione sia con soci produttori che col personale. Si ferma, di fatto, un indotto. Noi lavoriamo sia col prodotto fresco che col trasformato. Abbiamo fermato le linee per il trasformato, nessuna azienda ci avrebbe permesso un aumento di listino del 100%. Abbiamo una quota di energia prodotta da pannelli fotovoltaici per ciò che riguarda i costi elettrici, ma sul metano  non potevamo affrontare aggravi così onerosi, parliamo da un costo di 75mila euro al mese passato a 350mila euro al mese. Rischiamo di avere in casa prodotti invendibili. I primi a subire sono gli addetti tra il personale con una riduzione delle giornate lavorative per gli ortaggi. Eravamo in fase di programmazione delle colture: abbiamo fatto la scelta di cercare di recuperare le terre rimaste libere dagli ortaggi. Qualcuno ha vagliato l’ipotesi di convertirli a pomodoro da industria conserviera, ma il rischio era uguale.

Ci siamo dati 6 mesi, perché speriamo che con l’arrivo dell’estate si possano abbassare i costi del metano e trasformeremo prodotti estivi e non più primaverili. 

D – Tuttavia anche nel comparto del grano la semina è a forte rischio. 

E’ una verità. Oggi i conti si fanno con il prezzo del grano duro, ma dobbiamo augurarci che questi prezzi mantengano per stornare i soli costi di produzione, ma è tutto un punto interrogativo. L’agricoltore non vuole lasciare il terreno vuoto che non dia frutto. La cosa più logica, ma sicuramente non facile e libera da problemi, era quella di convertire i terreni a grano duro. Non sarà comunque una gestione dell’annata facile visti i costi dei semi e dei concimi, ma rimane il male minore per non lasciare il terreno vuoto. Il grano comporta un basso investimento di costi iniziali, rispetto al frutticolo.

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