L’impennata dei costi di produzione ci costa lo 0,08% del Pil sul 2022

Il caro energia produrrà un doppio impatto sull’economia italiana. L’impennata dei costi energetici, unito all’aumento smisurato delle materie prime, mette a rischio la ripresa italiana: l’allarme giunto dal Centro Studi di Confindustria, stima in un -0,8% l’impatto sul PIL del 2022. Il rincaro dell’energia colpisce l’industria italiana, mentre gli elevati contagi frenano i consumi di servizi.

Una bella patata bollente per il Governo, tenendo conto del fatto che le misure adottate (copertura stimata a 1,7 miliardi) riusciranno a mitigare l’impatto sulle tasche dei consumatori, ma non a supportare il comparto industriale o agricolo.

Le misure contenute nel Dl Sostegni, infatti, sono insufficienti per sostenere le 740mila aziende agricole e le oltre 70mila industrie alimentari che compongono il comparto agroalimentare italiano, le cui prospettive di spesa in bolletta parlano di oltre 37miliardi quest’anno e 21 il prossimo.

Per le imprese le prospettive di spesa sono di oltre 37 miliardi quest’anno e 21 il prossimo

Molti addetti ai lavori riferiscono, giustamente, di un “rischio paralisi” che potrebbe incidere negativamente anche sul versante occupazionale. Le imprese della filiera in molti casi stanno producendo in deficit, una condizione che alla lunga diventerà insostenibile. Alcune di esse, per sostenere gli aumenti di costi, stanno ipotizzando di chiudere alcune linee produttive, uno scenario che, in un momento di ripresa economica, è assolutamente da evitare. Per sostenere l’agroalimentare c’è bisogno di uno sforzo importante da parte dei policy maker che vada ad incidere positivamente sul caro bollette, contenendo concretamente gli aumenti e dando respiro alle imprese che per il 90% sono composte da PMI.

Urgono non interventi spot, ma misure strutturali, come hanno fatto Francia e Germania, misure che potrebbero essere finanziate con i proventi delle aste Co2 pagate dalle imprese energivore, proventi che dovrebbero essere finanziati per la decarbonizzazione dell’industria. Federalimentare ha elaborato diverse proposte: la cessione della produzione nazionale di gas ai settori industriali per 10 anni con anticipazione dei benefici finanziari nell’anno 2022; la cessione di energia rinnovabile elettrica “consegnata al Gse” (Gestore dei Servizi energetici) per un quantitativo di circa 25 twh e trasferita ai settori industriali a rischio chiusura ad un prezzo di 50€/mwh; incremento delle agevolazioni per i settori energivori con riferimento alle componenti parafiscali della bolletta elettrica. Se il Governo non interverrà con tempestività si correrà il rischio di precipitare nella peggiore situazione di shortage degli ultimi anni con la Cina che è pronta ad accaparrarsi nel primo semestre dell’anno il 70% della produzione globale di mais, il 60% di riso e il 50% di grano.

Come asserivo nell’incipit, il caro energia produrrà effetti immediati anche sui consumi degli italiani. In un paese dove l’85% dei prodotti presenti sullo scaffale della GDO viaggia su strada, l’aumento in carrello di prodotti come frutta e verdura si aggira tra il 30-35% in più. Il sistema della logistica è IL settore (non uno dei tanti, ma il principale) che impatta maggiormente sul gap di competitività che l’Italia sconta con gli altri player europei. Nel nostro paese il costo medio chilometrico per le merci di trasporto pesante è pari a 1,12 €/km, più alto di nazioni come la Francia (1,08 €/km) e la Germania (1,04€/km), ma addirittura doppio se si considerano realtà dell’Europa dell’Est: in Lettonia il costo dell’autotrasporto è di 9,60 €/km, in Romania 0,64 €/km; in Lituania 0,65 €/km e in Polonia 0,70 €/km. Un aggravio per gli operatori economici italiani superiore dell’11% rispetto alla media europea e che ostacola lo sviluppo del potenziale economico del paese, in particolare per i settori per i quali il sistema della logistica risulta cruciale, come nel caso del sistema agroalimentare nazionale, punta di eccellenza del Made in Italy. Export che, come dirà un illustre ospite della rivista in questo numero (dott. Mercuri, Presidente settore agroalimentare Alleanza Cooperative) rischia di perdere segmenti di mercati anche del 50% per alcuni prodotti d’eccellenza.

Tuttavia c’è un terzo impatto che il caro energia sta generando: l’inflazione che in Italia è in salita, ma moderata rispetto ad altri paesi vicini. L’inflazione sta crescendo ovunque: nel nostro paese +3,9% annuo, ma spinta solo dai prezzi dell’energia, restando quindi più bassa di quella dell’Eurozona e degli USA. La misura “core” (*l’inflazione «core» è la misura dell’aumento medio dei prezzi che non tiene conto dei beni che presentano una forte volatilità di prezzo: in particolare quelli dell’energia e degli alimentari.), al netto di energia ed alimentari, in Italia è molto moderata (+1,4% annuo), mentre nell’Eurozona e soprattutto negli USA è balzata oltre la soglia del 2% vigilata dalle banche centrali. Due fattori continuano a tenere bassa la dinamica dei prezzi al consumo “core” (esclusi energia e alimentari): la domanda dei consumatori ancora compressa, sebbene in ripresa; la persistente debolezza dell’attività in alcuni settori, sia nell’industria che nei servizi. Lo scenario più probabile resta che la fiammata dell’inflazione in Italia e in Europa sia temporanea, grazie all’attesa flessione delle quotazioni petrolifere e che si registri un rientro nel corso del 2022. Ciò eviterebbe un rialzo dei tassi europei. 

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