Dalla Sicilia inizia la protesta degli agricoltori italiani (che iniziano ad organizzarsi)

Lo avevamo scritto per provocazione: “Dopo Olanda, Francia scendono in piazza gli agricoltori in Germina, mentre in Italia si pensa a fare gli alberi di Natale con i trattori”. Perché sapevamo che c’era (e c’è) un malcontento diffuso e generale nel tessuto imprenditoriale agricolo che parte fondamentalmente da un assunto: gli operatori di tutte le filiere si sentono traditi dalla politica e dalle organizzazioni datoriali colpevoli, a loro avviso, di aver svenduto l’agricoltura a vantaggio del comparto della trasformazione agroindustriale.

Eppur qualcosa si muove titolavamo ieri. E infatti mercoledì 17 gennaio, in Sicilia c’è un stato un primo incontro degli agricoltori che si sono dati appuntamento a Pergusa. I nostri amici siciliani, già ieri sera, ci hanno inviato foto e video a testimonianza dell’ampia partecipazione, segno di un malessere ormai incontenibile della base produttiva. Tanti i temi che hanno una rilevanza nazionale come le politiche di sostegno al settore primario per contrastare gli effetti del rincaro dei costi (gasolio, fertilizzanti, sementi, acqua) e della contrazione dei consumi a causa della perdita del potere di acquisto per la spinta inflattiva al rialzo. Ma la discussione si è incardinata soprattutto sulla visione europea che sta soffocando qualsiasi tentativo di far sviluppare l’agricoltura italiana: l’Europa impone vincoli a chi coltiva in Italia e che per esportare si scontra con innumerevoli paletti, ma permette di importare prodotti che mettono a rischio la salute dei consumatori, oltrè che illegali perchè non rispettano i contratti e le leggi sociali e, quindi, sfruttano i lavoratori pagandoli una miseria e generando un gap di competitività con le nostre aziende. L’Europa non solo non è efficace nel contrattare con i vari paesi per permettere di allargare il mercato agricolo, ma sta velocemente distruggendo l’agricoltura attraverso una visione distorta che tratta l’agricoltore come un nemico (come giustamente sostiene oggi l’europarlamentare De Castro). Una visione basata su un approccio radicale ed anti-scientifico che radicalizza posizioni ambientaliste senza considerare gli impatti economici e sociali, oltre che l’impatto ecologico. Ridurre “di botto” l’uso di fitofarmarci, far di tutto per abbassare la superficie ad uso agricolo, spingere al palo le aziende zootecniche, abolire l’uso di gasolio tout court sono azioni illogiche nella loro dinamica applicativa, senza considerare un range temporale ampio. Giustamente gli amici siciliani pongono al centro del dibattito la questione legata alla PAC, strumento pensato per agevolare l’agricoltura e non uno strumento per attuare, indirettamente, politiche più generali. Per la serie “poichè non lo posso vietare, lo penalizzo”. La PAC serve al mantenimento e allo sviluppo dell’agricoltura europea che in Europa ha visto chiudere 5,3 milioni di aziende in 15 anni.

Durante l’incontro gli agricoltori hanno chiesto una dinamica concertativa diversa dal passato, in totale trasparenza.

Oggi, rispetto a 12 anni fa, ci sono altre minacce legate alla proposta di direttiva per l’uso degli imballaggi che vedrebbe scomparire dagli scaffali gran parte dell’ortofrutta ed alla nuove politiche per i prodotti alcolici. E se il Ministero sui tg difende il Made in Italy, gli atti parlano di una mancata proroga dell’istituto che rendeva esenti i terreni agricoli dal pagamento dell’Irpef o l’autorizzazione al commercio di prodotti che contengono farina d’insetto.

Le ragioni per protestare ci sono, vedremo se altri territori aderiranno con energia e volontà.

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