L’EDITORIALE | La luce in fondo al tunnel si sta affievolendo

Legge sulle pratiche sleali e impatto della guerra sulle dinamiche di import/export europee e, soprattutto, nazionali. Che rapporto intercorre tra queste due variabili, apparentemente disconnesse tra loro?

Da una parte il recepimento di una direttiva europea che, finalmente, stabilisce un paletto: la GDO non può acquistare al di sotto dei costi di produzione.

Dall’altra gli effetti di una guerra che sta sconvolgendo l’agroalimentare, rovesciando rapporti di forza tra paesi produttori. Il nesso è stato approfondito all’appuntamento fieristico Fruit Logistica che, dopo anni, dato modo agli operatori della filiera di confrontarsi. E sicuramente le contingenze macroeconomiche non hanno fatto mancare spunti interessanti al dialogo.

Ed è lì che è stato tracciato un quadro globale, arricchito dalle molteplici prospettive offerte dai partecipanti, appartenenti alle filiere più importanti per il Made in Italy.

Primo spunto di analisi. La legge sulle pratiche sleali ha fatto sì che molte catene estere non siano più rifornibili dalle aziende italiane, attenzione non diciamo “rifornite”, bensì “rifornibili”, ovvero attualmente c’è qualcosa in potenza. Stiamo dicendo questo: se non cambiano le condizioni di vendita, molti contratti sono in procinto di decadere.

Chiaramente se vengono meno le commesse per le imprese italiane, quel prodotto da acquistare da qualche parte deve pur arrivare. E qui veniamo al secondo aspetto. Con la guerra stanno cambiando gli scenari dell’import/export soprattutto europeo. Molti prodotti esteri che prima venivano venduti in Ucraina e Russia, col blocco degli scambi sono pronti ad arrivare nei mercati target prima appannaggio esclusivo del Made in Italy.

Facciamo un esempio.

L’Italia è il principale esportatore di mele nei paesi del Nord Africa. La Polonia, principale competitor, ha da sempre indirizzato il proprio prodotto nei paesi dell’Europa Orientale, soprattutto Russia e Ucraina.

Quelle commesse invendute sono pronte a conquistare segmenti di mercato proprio nei paesi nordafricani, provocando perdite di quote al Made in Italy. Lo stesso discorso vale anche per l’export dei Paesi Nordafricani che esportano soprattutto drupacee verso Russia e Ucraina. Prodotti che andranno ad intasare il mercato interno europeo. E, qui, entra in gioco la legge sulle pratiche sleali. Essendo paesi extra Ue il principio dell’acquisto sotto i costi di produzione non sussiste e non crea vincoli, lasciando alla GDO mani libere per fare affari al prezzo più comodo.

Un circolo vizioso, quindi, che rischia di creare l’ennesimo cortocircuito nel sistema agroalimentare, mai come oggi chiamato ad adattamenti così repentini per poter andare avanti. E con la spada di Damocle sul collo per gli aumenti dei costi di produzione e rincari energetici, affrontare la concorrenza di paesi non assoggettabili ai paletti europei sarà sempre più difficile.

A cura della redazione

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