11 anni dopo punto e a capo!

Nei giorni scorsi ha tenuto banco la manifestazione Coldiretti, a distanza di 11 anni dalla manifestazione al valico del Brennero (che mi vide tra i protagonisti) per portare alla  ribalta la questione della concorrenza sleale da prodotti contraffatti, l’ormai famoso italian sounding. Sui cartelli 11 anni fa campeggiavano questi slogan: «Il falso prosciutto italiano ha fatto perdere il 10% dei posti di lavoro», «Una mozzarella su 4 è senza latte», «Fuori i nomi di chi fa i formaggi con caseine e cagliate», «Dove vanno a finire i miliardi di litri di latte che passano dal Brennero?», «Salviamo il vero prosciutto italiano», «Il falso made in Italy uccide l’Italia». E il richiamo a quelli visti nei tg nei giorni scorsi appare più che scontato vista la guerra al “falso Made in Italy”, combattuta, questa volta, ad hastag tratto: “nofakeinitaly”. 

La cosa mi preoccupa per due ordini di ragioni. La prima: nonostante un’attenzione costante a livello europeo (grazie anche all’impegno di De Castro) è cambiato ben poco, anzi! Il valore del mercato dei prodotti “fake in Italy” è cresciuto, in maniera proporzionale al valore del nostro export. Seconda considerazione: mi preoccupa che a fare i controlli sia una organizzazione agricola, anzichè le istituzioni preposte a farlo: 1. ASL, 2. Nucleo Antisofisticazione del Comando dei Carabinieri (NAS) 3. Ispettorato Centrale della tutela della Qualita e Repressione Frodi (ICQRF)

Perchè ciò provoca anche “equivoci” pericolosi, come quello accaduto per il pane congelato diretto ad Altamura. Su questo voglio un attimo soffermarmi. Dico: se si associa pane congelato ad un luogo la cui identità è legata al pane artigianale a marchio di qualità, l’assioma che ne deriva (anche se non detto in alcun modo) è che ad Altamura si vende pane dell’Est Europa che arriva congelato per diventare “magicamente” Pane di Altamura, quando invece si tratta di baguette!

Il mercato è libero e il nodo da sciogliere non sta nei prodotti esteri che importiamo, ma la domanda di questi prodotti che, evidentemente, sono richiesti dal settore agroindustriale italiano, ma a quali condizioni e regole?

Il settore Agroindustriale nel frattempo si è fatto spazio nella filiera sia con le istituzioni che con le stesse organizzazioni  agricole attivando molte volte collaborazioni discutibili sul piano delle opportunità più che nel merito. Sinergie molto spesso “di facciata” per alcuni brand, utili a fare brand washing piuttosto che a risolvere il problema a monte della richiesta di materie prime 100%italiane.

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