Xylella fastidiosa e olivo: scienza, contenimento e ripartenza

A Bari, un seminario per fare il punto sulla gestione della Xylella fastidiosa e il futuro dell’olivicoltura
Sono passati oltre dieci anni dalla comparsa della Xylella fastidiosa subsp. pauca (Xfp) in Puglia. Dal 2013, la malattia ha causato gravi danni al patrimonio olivicolo: 150.000 ettari e oltre 17 milioni di alberi perduti, 30.000 tonnellate di olio in meno ogni anno e circa 132 milioni di euro di perdita per gli imprenditori agricoli. Dopo anni di stallo, si assiste oggi a una ripartenza grazie a cultivar tolleranti e resistenti e a un approccio più imprenditoriale all’olivicoltura.
Per analizzare lo stato attuale e futuro dell’olivicoltura e condividere risposte concrete, abbiamo organizzato un ciclo di seminari intitolato “Xylella fastidiosa: aggiornamenti e sfide per le coltivazioni mediterranee”, laddove la conoscenza cresce e si sviluppa ogni giorno. Il primo di questi incontri, centrato esclusivamente sulla filiera olivicola, si è svolto il 18 marzo presso l’Aula Magna di Agraria dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
Durante il tavolo scientifico sono state trattate tutte le tematiche legate all’emergenza, dalle problematiche presenti alle soluzioni ad oggi disponibili.
Il Prof. Franco Nigro, ordinario di Patologia Vegetale, ha approfondito la tematica del patogeno, valutando al meglio le possibili strategie di contenimento e rispondendo al continuo dilemma della remissione dei sintomi.Una delle conferme ottenute dal professore è che un albero, una volta risultato positivo, non può in nessun modo essere curato, ma andrà incontro a ciò che ormai è ben conosciuto come “Disseccamento rapido dell’olivo”. La strategia da adottare per combattere il patogeno è l’utilizzo di cultivar tolleranti o resistenti, in cui fondamentale è la ricerca, non basata solo su mere osservazioni, ma fatta con criterio e rigore metodologico, portando avanti progetti di ricerca strutturati. E gli alberi di importanza paesaggistica? È necessario ricorrere alla pratica dell’innesto prima che l’albero risulti infetto. Un altro aspetto che è necessario riportare è la poca rilevanza per non dire l’assoluta inutilità dei prodotti definiti capaci di arrestare la malattia o di migliorare le condizioni di un albero infetto. Il Professor Nigro, infatti, ha affermato che “I prodotti “miracolosi” non hanno portato a niente”.

Quali tecniche si possono invece applicare per poter ridurre la pressione del vettore di Xfp? Il dott. Ugo Picciotti, dottore di ricerca in Entomologia Agraria, ha illustrato quali metodologie posso essere utilizzate per il controllo di Philaenus spumarius, comunemente chiamata sputacchina. È fondamentale ridurre la popolazione dei vettori infettivi, soprattutto durante le fasi di controllo mirato contro giovani e adulti che si nutrono sull’olivo, per limitare significativamente i movimenti di massa e quindi la diffusione del batterio. L’obiettivo, ha spiegato, è raggiungere un equilibrio tale per cui il numero di insetti vettori residenti sia inferiore o pari al numero di olivi presenti nel campo. In queste condizioni, la trasmissione dell’infezione diventa un evento raro e circoscritto. Inoltre, la progressiva scomparsa delle piante infette porta all’isolamento di Xfp e alla riduzione della malattia a pochi focolai attivi, rendendo la gestione del problema più efficace e sostenibile. L’introduzione di insetti predatori potrebbe essere un’altra valida tecnica per poter abbattere la popolazione di sputacchina.
L’olivicoltore in areale infetto si trova a dover confrontarsi non solo con problematiche di carattere patologico, ma anche di stress di altra natura. Il Prof. Gaetano Alessandro Vivaldi, associato di Arboricoltura Generale, ha realizzato una panoramica su quali sono le pratiche agronomiche utili per la ripartenza, che possono rispondere alle pressanti sfide del settore olivicolo-oleario: non solo Xfp, ma anche deficit idrico e d’innovazione.
Il Prof. Vivaldi ha posto l’accento sulla necessità, per l’olivicoltura moderna, di puntare su una selezione varietale mirata alla resistenza a questo patogeno e alla capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici in atto. In questo scenario, risorse idriche non convenzionali, come le acque reflue urbane affinate, possono diventare un valido alleato per l’irrigazione anche in aree colpite dal batterio. Grazie all’uso di tecnologie avanzate, è oggi possibile gestire in modo più sostenibile ed efficiente le risorse disponibili, ottimizzandone l’impiego e riducendo al minimo gli sprechi.

Gli interventi scientifici hanno riunito i tasselli di una situazione attuale ancora molto complessa, ma la realtà del territorio come sta rispondendo? Sta facendo proprie le ricerche e le nozioni prodotte o sta seguendo altre strade?
Il Dott. Agr. Stefano Marullo, del gruppo FLOEMA Consulting, ha proposto una riflessione sull’evoluzione dell’olivicoltura salentina, la quale è passata da una coltura poco specializzata a un settore che oggi punta su sistemi moderni e sostenibili. L’ecosostenibilità, ha spiegato, deve essere intesa non solo in chiave ambientale, ma anche economica, sociale e culturale. Fondamentali sono un approccio scientifico alla valutazione dell’area selezionata, la scelta di varietà tolleranti o resistenti (Leccino, Favolosa, Leccio del Corno e Lecciana) e una progettazione dell’impianto che tenga conto di fattori come densità d’impianto, irrigazione, gestione della chioma e meccanizzazione. Marullo ha sottolineato la necessità di un cambio di mentalità da parte dei produttori e di una maggiore professionalità per affrontare con successo la sfida della rigenerazione olivicola post-Xylella.
L’incontro si è concluso con una tavola rotonda focalizzata sui nuovi impianti, nuovi mercati e nuove frontiere, coinvolgendo esperti del settore vivaistico, a monte del processo, e del mondo della commercializzazione del prodotto finito. Dai vivai la voce è unica: è necessario produrre più piante per soddisfarne la domanda. Sia Vito Spinelli che Luca Fortunato, rappresentanti degli omonimi vivai, hanno dichiarato di aver esaurito in tempi record piante di olivo, sia di cultivar autoctone, come Coratina, sia di cultivar di più recente introduzione, come Lecciana. La corsa all’impianto è sicuramente alla risposta del mercato, che quest’anno ha premiato l’olio italiano con prezzi sempre maggiori rispetto ai competitor esteri. Tommaso Loiodice, vicepresidente dellaFOOI, ha riportato l’esperienza degli ultimi due anni e di come, facendo sistema, è possibile mantenere un livello dei prezzi soddisfacente e adatto ai livelli di costi che l’azienda olivicola deve affrontare, sempre maggiori negli ultimi anni. Di visione differente è il Dott. Agr. Nicola Ruggiero (Azienda Ruggiero). È importante non dimenticare il recente passato, fatto da prezzi non soddisfacenti e campagne disastrose. “L’olivicoltore dimentica molto facilmente le annate di magra, ma ricorda benissimo invece le annate migliori”, il commento di Ruggiero. E quindi qual è la soluzione a tutto ciò? Consolidare la leadership dal punto di vista della qualità, segmentare il settore e mantenere alto il livello dell’olio italiano.
Questo primo incontro sulla filiera olivicola ha dato risposte ad alcune domande, suscitando nuovi e ulteriori spunti di riflessione:
È davvero possibile superare la crisi dell’olivicoltura italiana? Ma soprattutto, esiste la possibilità che l’Italia ritorni leader mondiale del settore olivicolo? Ad oggi è un obiettivo più che ambizioso, difficile da raggiungere, ma dal Salento, passo dopo passo, la rinascita sta avvenendo.
A cura di Francesca Galizia e Francesco Maldera