Vietare e basta non ha senso, servono alternative

“Vietare e basta non ha senso. La transizione non si fa con le imposizioni, ma con gli investimenti. Il divieto ha senso quando ci sono alternative e va fatto con reciprocità, altrimenti si favoriscono le importazioni. Se vietare certe sostanze volesse dire aumentare le importazioni avremmo un non senso economico ed ambientale”. Sul glifosate, forse l’atteggiamento più equilibrato lo ha adottato la Francia, col suo Ministro Denormandie. Investimenti, ricerca delle alternative e reciprocità sono i tre elementi della posizione francese.

Un approccio più equilibrato e sicuramente più lungimirante quello dei nostri cugini, inaugurato già a fine 2020. Certo anche lì la politica, come quella nostrana, ha mostrato incoerenza e un pizzico di confusione. Tuttavia il Ministero una linea di indirizzo e di azione chiara ce l’ha!

A partire da gennaio 2021 e fino a tutto il 2022, infatti, la Francia ha concesso un credito di imposta di 2.500 euro agli agricoltori che accettano di interrompere l’uso del glifosato. Lo ha chiarito il ministro dell’Agricoltura Julien Denormandie dopo che il presidente Macron aveva ribadito l’intenzione di mettere al bando l’erbicida, considerato “probabile cancerogeno” dalla Iarc dell’Oms, nonostante Parigi ha disatteso la messa al bando annunciata nel 2017.

Nello specifico, l’aiuto economico spetta ai settori agricoli più “colpiti” dall’addio al glifosato ovvero le coltivazioni di vite, frutta e grano. La sfida era quella di mettere in atto meccanismi per compensare i costi degli agricoltori dovuti al ritiro del glifosato, perché un agricoltore che investe per eliminare gradualmente il glifosato non beneficia della creazione immediata di valore. Lo stop all’uso del glifosato in un’azienda cerealicola, ha stimato il ministero dell’Agricoltura francese, crea una perdita del profitto operativo lordo fino al 16%, il che equivale a un costo aggiuntivo fino a 80 euro per ettaro, o fino a 7.000 euro per un’azienda agricola media di 87 ettari.

Oggi più che mai il tema è strettamente legato a quello della sovranità alimentare: bisogna produrre di più “DENTRO” i confini nazionali, rafforzando le filiere e promuovendo il cibo sano, etico e di qualità. Perché paletti e divieti troppo stringenti non fanno altro che svilire l’agricoltura italiana ed il mondo della trasformazione in quanto le regole europee non valgono per le produzioni “in entrata” che devono certo rispettare dei parametri di salubrità, ma che peccano in tracciabilità e trasparenza sui processi di produzione. Serve, dunque, un approccio più globale che tenga conto della complessità della questione e della variabili non solo scientifiche, ma anche economiche e sociali.

Una regola è giusta quando vale per tutti e non crea disuguaglianze. Questo deve essere il principio che deve ispirare e guidare le scelte di chi prende le decisioni, tanto a livello regionale che nazionale ed europeo.

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