Uva da tavola, serve una strategia d’insieme per la filiera

Le parole sono importanti sentenziava Nanni Moretti…quindi utilizziamole parlandoci. E’ il monito che rivolgo agli operatori della filiera dell’uva da tavola, prima che salti del tutto la comunicazione, visto che il primo corto circuito importante già c’è stato. Intervistato da alcuni media non mi tiravo indietro nel dire le cose come stanno: nonostante le preferenze del mercato e l’inclinazione dei consumatori verso le apirene, le quotazioni delle uve con semi superano quelle delle seedless malgrado il calo produttivo di queste ultime. Ciò avviene all’indomani dello storico sorpasso delle superfici vitate con varietà senza semi, che toccano il 60% contro il 40% delle tradizionali. Un sovvertimento delle leggi di mercato che parla di un aumento della domanda di apirene ed un surplus di quelle tradizionali, nonostante le rese calino per gli effetti dei cambiamenti climatici e degli espianti (che ormai sono strutturali nel comparto). Non trovano riscontri coerenti con le leggi di mercato quelle quotazioni così alte da parte di alcuni grossisti per le uve tradizionali che parlano di 1 euro al chilo in campo. Quindi da un lato la GDO toglie dagli scaffali le uve con semi (perché così vogliono i consumatori con i loro gusti e con le loro abitudini alimentari), dall’altro le quotazioni di queste ultime salgono. Chiamiamolo paradosso, chiamiamolo corto circuito, chiamiamola mancanza di comunicazione, rimane il fatto che così facendo la filiera si mostra disorganizzata e poco efficiente nelle proprie dinamiche interne. Da tempo come rappresentante dell’OI e della CUT lamento l’assenza di una strategia di insieme che programmi le azioni in merito a superfici investite, varietà impiantate e politiche commerciali da adottare. Perché la scelta non è tra uve tradizioni o apirene, bensì tra organizzazione e disorganizzazione, tra governo dei cambiamenti ed anarchia, tra condivisione di una “visione” a medio termine e il vivere alla giornata. Sta a noi decidere se da un singolo corto circuito dobbiamo far saltare tutto il sistema. Ma per non fare saltare il sistema dobbiamo comportarci da sistema condividendo una identità, una funzione ed una struttura che si da organizzazione facilitando la connessione tra i centri nevralgici. Da una connessione che si trasforma gli input e gli output possiamo fare integrare in modo funzionale il sistema col proprio ambiente. Se lasciamo che le singole unità “operino” singolarmente a saltare non sarà la connessione tra le singole parti, ma tra il sistema e l’ambiente circostante che, nella fattispecie, si chiama mercato.
Editoriale a cura di Donato Fanelli