Un’arma contro il cambiamento climatico: la gestione forestale
Due studi dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isafom) pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Agricultural and Forest Meteorology analizzano la capacità di sequestro e stoccaggio del carbonio in diversi scenari di gestione forestale e cambiamento climatico degli ecosistemi forestali in Europa. I risultati dell’indagine aiutano a comprendere gli effetti del cambiamento climatico in atto e il peso dell’impatto antropico sulle foreste
Le foreste hanno la capacità di sequestrare carbonio atmosferico e di stoccarlo nella biomassa. Questa caratteristica è influenzata dal cambiamento climatico in atto. Un team internazionale guidato da Daniela Dalmonech, assegnista di ricerca del Laboratorio di modellistica forestale (Forest Modelling Lab) presso l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isafom) di Perugia, cerca di fare luce sul possibile futuro delle foreste europee e sul ruolo della gestione forestale nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico, analizzati con un approccio modellistico.
I risultati, ottenuti utilizzando un modello biogeochimico forestale applicato a diversi scenari di gestione selvicolturale e climatici, sono descritti in due studi pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Agricultural and Forest Meteorology. “Entrambi gli studi analizzano diversi scenari di gestione forestale, ponendo l’attenzione sulla possibilità di gestire più o meno intensamente – e diversamente – le foreste, a partire dal presente e fino alla fine del secolo”, afferma Daniela Dalmonech, “le foreste sono infatti in grado di assorbire e immagazzinare carbonio nei loro tessuti a seconda di come decidiamo di gestirle”.
Nel primo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, l’analisi di sei diversi scenari di gestione forestale, compreso uno in cui la foresta è lasciata a una evoluzione “naturale”, si è concentrata sul sito sperimentale del bacino del Bonis in Calabria, una delle piantagioni artificiali di pino laricio più meridionali in Europa. Foreste così a sud mostrano già un’alta suscettibilità agli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico, di conseguenza questo studio sottolinea il ruolo chiave di una gestione proattiva delle piantagioni di pino laricio rispetto all’abbandono o alla non gestione, nella mitigazione degli impatti del cambiamento climatico. Diversi interventi, basati sul variare l’intensità e il tempo tra un taglio e il successivo, permettono di agire significativamente sul potenziale di sequestro del carbonio di questi ecosistemi fortemente antropizzati riducendo, ad esempio, la competizione tra individui e aumentandone la disponibilità idrica e di luce per i rimanenti.
Il team di ricerca ha analizzato un ampio portafoglio di interventi gestionali, disegnati specificatamente per il pino laricio, sotto due diversi scenari di cambiamento climatico: “I nostri risultati” spiega Dalmonech “mostrano come cicli di intervento che privilegiano il trattamento a tagli successivi rappresentano un buon compromesso che permette di minimizzare eventuali riduzioni di capacità di sequestro del carbonio sul lungo periodo causate dall’impatto del cambiamento climatico, sostenendo ed aumentando allo stesso tempo la produzione legnosa (ben oltre il 40%), mentre la non gestione risulta essere in alcuni casi la peggiore opzione sia in termini di capacità di sequestro che di accumulo di biomassa”.
Gina Marano, attualmente dottoranda presso il Politecnico di Zurigo, coautrice di entrambi i lavori e collaboratrice del Laboratorio di modellistica forestale, aggiunge: “Per il nostro studio, ci siamo ispirati ai lavori di Paolo Cantiani, ricercatore del Crea e coordinatore di Gruppo di pianificazione forestale della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef), purtroppo recentemente scomparso, per ricreare scenari di gestione quanto più vicini alla realtà applicativa che ci hanno permesso di testare il modello in un contesto più vicino ai selvicoltori”.
Nel secondo studio, pubblicato sulla rivista Agricultural and Forest Meteorology, i ricercatori si sono chiesti se un aumento (o una diminuzione) in intensità e frequenza dei tagli, rispetto alle pratiche attuali, potesse automaticamente aumentare la capacità delle foreste di sequestrare e stoccare la CO2 atmosferica. “L’indagine è avvenuta attraverso un approccio modellistico applicato su foreste centro-Nord europee sotto quattro diversi scenari di cambiamento climatico”, spiega Gina Marano. “Si sono confrontati una ventina di diversi scenari a più alta e più bassa intensità e frequenza di prelievo rispetto alle comuni pratiche di gestione. I risultati prodotti dal modello mostrano come una corretta gestione forestale porti a un miglioramento, sia in termini di sequestro che di stoccaggio del carbonio, anche per il futuro, indipendentemente dallo scenario di clima considerato”.
Gestire più intensamente le foreste non corrisponde automaticamente però ad un aumento delle loro capacità di sequestro e stoccaggio, mentre sembra vero il contrario come spiega Daniela Dalmonech: “Dal confronto con la gestione più comune, risulta che scenari a più alta intensità di gestione, ovvero maggiore frequenza di taglio, mostrano mediamente una diminuzione di circa il 30% in termini di sequestro di carbonio e di circa il 5% in termini di accumulo di biomassa, mentre scenari a più bassa intensità di gestione mostrano rispettivamente una diminuzione di circa il 2% e il 7%. La non gestione rappresenta – invece – una riduzione, in termini di sequestro e biomassa stoccata, di circa il 16% e il 30% rispetto alla gestione più comunemente praticata”.
Alessio Collalti, responsabile del Laboratorio di modellistica forestale e coautore e coordinatore di entrambi i lavori, conclude: “I nostri risultati mostrano anche come la gestione forestale, e il tipo di gestione che si decide di applicare nel medio e lungo termine, ha di gran lunga un impatto maggiore di quanto non lo abbia il cambiamento climatico stesso. È importante quindi analizzare con cura ogni singolo caso. La speranza è che entrambi i nostri studi siano da stimolo al dibattito in corso in tema di strategie di adattamento, mitigazione e decarbonizzazione basate sulle risorse forestali, in Italia come in Europa. La non gestione rimane certamente una opzione ma le foreste gestite possono aiutarci a ridurre maggiormente la CO2 atmosferica e quindi gli effetti del cambiamento climatico in corso”.
Lo studio è stato svolto nell’ambito delle attività del progetto AlForLab (laboratorio pubblico-privato per la filiera ambiente-legno-foreste) e del progetto Isimip (Inter sectoral impact model intercomparison project), tramite l’utilizzo del modello forestale sviluppato all’interno del Laboratorio di modellistica forestale del Cnr-Isafom. Hanno partecipato ricercatori di diversi enti di ricerca europei e americani: Politecnico di Zurigo, Joint research centre, European forest institute, Fondazione Cmcc, Northern Arizona University e le Università di Bologna e di Viterbo.
Roma 7 novembre 2022
La scheda
Chi: Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom)
Che cosa: Science of the Total Environment, https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2022.159361; Agricultural and Forest Meteorology, https://doi.org/10.1016/j.agrformet.2022.109203
Per informazioni: Alessio Collalti, Cnr-Isafom, email: alessio.collalti@.cnr.it; Daniela Dalmonech, Cnr-Isafom, email: daniela.dalmonech@isafom.cnr.it