Una cinquantina di tecnici alla FEM per la presentazione dello studio in vigneto

Gestione biologica e integrata a confronto, nei giorni scorsi, alla Fondazione Edmund Mach dove i tecnologi del Centro Trasferimento Tecnologico hanno illustrato ad una cinquantina di tecnici del settore vitivinicolo ed enologi delle cantine trentine i risultati di una sperimentazione durata oltre dieci anni nel campus di San Michele all’Adige.

Dallo studio è emerso che le due gestioni si equivalgono relativamente alla fertilità chimica del suolo e alla disponibilità di nutrienti, mentre in relazione alla biodiversità microbica, indicatore di fertilità biologica e stabilità ecosistemica, questa è risultata maggiore nella gestione biologica. Complessivamente è emerso che la gestione biologica permette di ottenere risultati produttivi e sanitari comparabili alla gestione integrata.

Ad aprire l’evento sono stati il direttore generale FEM, Mario Del Grosso Destreri, il dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico, Maurizio Bottura. A seguire sono intervenuti tecnologi e ricercatori, moderati dal responsabile dell’Unità Agricoltura Biologica, Daniele Prodorutti. Al termine si è svolta una degustazione e un confronto dei vini prodotti presso la Cantina sperimentale e di microvinificazione a partire dalle uve delle diverse gestioni agronomiche.

Si tratta di uno studio pluriennale di confronto gestioni in vigneto iniziato nel 2011 presso il vigneto “Pozza” della Fondazione Mach, condotto dall’Unità Agricoltura Biologica del CTT e supportato dall’Azienda Agricola FEM, dall’Unità Trasformazione e Conservazione e dall’Unità Chimica Vitienologica e Agroalimentare. Dal 2019, inoltre, lo studio conta anche la collaborazione con l’Università della Campania e con l’Università della Tuscia.

“Il sito oggetto di studio – spiega Daniele Prodorutti – è rappresentato da un vigneto FEM coltivato con Pinot bianco e Riesling Renano e allevato a pergola semplice trentina. Le valutazioni hanno interessato: performance vegeto-produttive del vigneto, sanità delle uve, qualità dei mosti e vini, fertilità chimica e biologica del suolo, impronta ecologica dei sistemi di gestione”.

In sintesi, lo studio ha dimostrato che la gestione biologica permette di ottenere risultati produttivi e sanitari comparabili alla gestione integrata. La vigoria delle viti è risultata tendenzialmente inferiore nelle gestioni biologiche, pertanto, per il mantenimento dell’equilibrio vegeto-produttivo della vite, è necessario prevedere un’ottimizzazione delle strategie di fertilizzazione mediante l’integrazione dei diversi input organici. Relativamente alla fertilità chimica del suolo e alla disponibilità di nutrienti, la gestione biologica ha complessivamente equiparato la gestione integrata. L’applicazione di letame maturo ha fornito potassio al suolo e l’erbaio da sovescio si è rivelato una valida strategia agronomica in termini di rilascio di azoto minerale nelle fasi fenologiche di maggiore fabbisogno per la vite. Inoltre, lo studio ha messo in evidenza la capacità delle matrici organiche di sequestrare carbonio nel suolo.

La biodiversità microbica, indicatore di fertilità biologica e stabilità ecosistemica, è risultata maggiore nella gestione biologica con sovescio. La composizione della comunità di batteri, funghi e oomiceti si è differenziata per ciascuna gestione.

L’impatto ambientale delle singole gestioni agronomiche, quantificato mediante l’utilizzo delle impronte di carbonio, azoto e acqua, ha permesso di evidenziare la maggiore sostenibilità di buone pratiche agronomiche in vigneto.

Fonte:Fondazione Edmund Mach

Potrebbe interessarti anche...