Tra l’istinto dei vecchi agricoltori e l’agricoltura 5.0

Dal confronto si crea progresso e non dobbiamo avere paura di innescare polemiche, dibattiti o veri e propri “scontri dialettici”, perché si fa cultura in agricoltura anche attraverso il confronto serrato tra due opinioni spesso antitetiche. Una linea editoriale che culminata nel 2024 con un mio editoriale pubblicato sull’ultimo numero dell’anno nel quale mi chiedevo se i mali dell’agricoltura non fossero dovuti alla scomparsa della centralità dell’agricoltore, inteso come pilastro di tutto un sistema che non è solo produttivo, bensì anche storico, culturale e sociale. Sul web si è scatenato un dibattito, a mio avviso fertile e positivo con la maggioranza dei lettori che ha sostenuto le mie tesi, personalizzandole con la propria visione prospettica sull’argomento, frutto di un interesse ancorato alla sua posizione e ruolo all’interno della filiera di riferimento. Leggendo il Foglio, in un articolo a firma di Camillo Langone mi è balzato all’attenzione questa asserzione: “Secondo lo storico francese [Emmanuel Tood] l’Occidente sta finendo perché sta finendovi il cristianesimo: “L’estinzione religiosa ha condotto alla scomparsa della morale sociale e del sentimento collettivo”! Facendomi pensare meglio a come l’agricoltura, a mio modesto avviso, rappresenta l’ultima sfera sociale (ed economica) che mantiene ancora un solido legame identitario con la religione intesa come ambito nel quale si esplica la morale sociale ed il sentimento collettivo.
agricoltura e cultura
Le comunità rurali hanno plasmato non solo identità ed usi e costumi, ma anche la conformazione dei territori e, di conseguenza, dei manufatti rurali. Un esempio sono le cappelle votive, espressione di una fede che si palesava nel quotidiano rituale di fermarsi un attimo davanti a una statua o un dipinto per ringraziare e per invocare la pietà. Perché era questo che facevano i nostri nonni: non ci si fermava per chiedere a Dio un semplice aumento dei prezzi, bensì per ringraziare di ciò che si aveva.
In questo, forse, trova riscontro l’atteggiamento degli agricoltori di considerare tutto ciò che hanno prima un dono e poi il frutto del proprio lavoro.
Ma l’elemento religioso e rituale anche in agricoltura sta scomparendo, con il conseguente annullamento del fattore umano e quindi il confronto tende sempre più a dividere o a polarizzare le diverse posizioni in campo anziché per il bene comune trovare una sintesi!
Ecco perché ritengo che oggi la strada da intraprendere sia quella che integri in uno stesso approccio l’istinto antico e tipico degli agricoltori con l’agricoltura 5.0 e le relative innovazioni. Oggi con Foglie, e l’ho ribadito in un bellissimo incontro a fine anno con l’Università di Bari, intendiamo creare un disordine virtuoso: COMUNICARE LA COMPLESSITA’ DEL MONDO AGRICOLO è la nostra missione, il nostro atto d’amore verso la verità che risiede sempre nella pluralità dei punti di vista. Cerchiamo di avvicinarci alla verità, non pretendiamo di coglierla. Questa presa d’atto non è solo un segno di umiltà, è un obbligo morale verso chi ci legge: siamo contro la semplificazione, le letture ovvie causa-effetto, il catastrofismo a priori e l’autocelebrazione da primi della classe. Ci piacciono le sfide, amiamo provocare per innescare reazioni. Non sopportiamo chi sta fermo o il piangersi addosso, così come detestiamo chi pensa sempre di aver ragione perché ha capito come va il mondo.
Con questo “mood” intraprendiamo un 2025 durante il quale continueremo spero a stupirvi. Seguiteci…
Editoriale a cura di Donato Fanelli