Sud Italia, una emorragia (non più) silenziosa : il rischio di una desertificazione urbana senza ritorno

Negli ultimi vent’anni, il Sud Italia ha perso 1,1 milioni di abitanti. Un numero impressionante, che, però, è solo un’anticipazione di quello che potrebbe accadere nei prossimi decenni: secondo le stime, entro il 2080 la popolazione del Mezzogiorno potrebbe ridursi di 8 milioni di persone. Interi territori rischiano di trasformarsi in lande semi-deserte, con città che si svuotano e servizi che si spengono lentamente, in un processo che assomiglia sempre più a una lenta agonia.
Non è un fenomeno improvviso, né inaspettato. La fuga dal Sud è un problema strutturale che affonda le radici in decenni di mancati investimenti, carenza di opportunità e squilibri economici sempre più marcati tra il Settentrione e il Meridione. Se fino a qualche anno fa erano soprattutto i meno qualificati a partire in cerca di lavoro, oggi a lasciare il Sud sono sempre più giovani laureati, spinti dalla mancanza di prospettive professionali adeguate al loro livello di istruzione.
Un Sud sempre più povero e precario
L’analisi della situazione economica del Mezzogiorno non lascia spazio all’ottimismo. Mentre il Nord riesce, seppur tra difficoltà, a mantenere una traiettoria di crescita, il Sud arranca. Il PIL meridionale cresce a un ritmo più lento rispetto al resto del Paese: nel 2023 si è fermato a +0,4% contro il +0,8% del Centro-Nord. E per il 2025 la forbice potrebbe ampliarsi ulteriormente.
Ma, al di là dei numeri del PIL, è un altro dato a restituire la dimensione reale del problema: la povertà. Negli ultimi anni, il numero di persone che vivono in povertà assoluta nel Mezzogiorno è aumentato di 250.000 unità. Al contrario, nel Centro-Nord si è registrato un calo di 157.000 poveri.
A colpire è soprattutto la crescita della cosiddetta “povertà lavorativa”: nel Sud, avere un impiego non significa più necessariamente riuscire a vivere dignitosamente. Tra il 2020 e il 2022, la percentuale di famiglie con almeno un lavoratore che si trovano comunque in povertà assoluta è salita dal 7,6% al 9,3%. In particolare, tra le famiglie operaie, il tasso ha avuto un’impennata del 3,3%. Il lavoro c’è, ma è precario, sottopagato e incapace di garantire un futuro.
Fuga dei cervelli: laurearsi al Sud per lavorare altrove
Il quadro diventa ancora più critico se si guarda ai giovani e, in particolare, ai laureati. L’esodo intellettuale è una delle piaghe più gravi che sta colpendo il Mezzogiorno. Se vent’anni fa il 26% di chi lasciava il Sud era laureato, oggi la percentuale è salita al 42%.
Questo significa che il Mezzogiorno non solo perde abitanti, ma si priva anche delle sue risorse più preziose: i giovani formati e qualificati, coloro che potrebbero contribuire a invertire la tendenza e rilanciare l’economia. È un circolo vizioso difficile da spezzare: le aziende non investono perché non trovano abbastanza forza lavoro qualificata, e i giovani vanno via perché non trovano aziende disposte a offrirgli un impiego. Solo mosche bianche.
Città sempre più vuote, servizi al collasso
L’emorragia demografica ha conseguenze dirette anche sulla tenuta del tessuto urbano. Il fenomeno della desertificazione urbana è già visibile in molte aree del Sud: città un tempo vitali stanno perdendo progressivamente abitanti e , con loro, servizi, infrastrutture e attività economiche.
Meno residenti significa meno entrate per i comuni, con il risultato che scuole, ospedali e trasporti subiscono tagli sempre più drastici. Interi quartieri si spopolano, lasciando spazio a edifici abbandonati e a un degrado che diventa sempre più difficile da arginare.
Emblematico il caso di alcune città della Calabria e della Basilicata, dove intere aree urbane si stanno svuotando a un ritmo preoccupante. Se il trend continuerà, molte di queste realtà rischiano di trasformarsi in città fantasma nel giro di pochi decenni.
Turismo e ZES Unica: basteranno a fermare il climax discendente ?
Da sempre considerato il settore chiave per lo sviluppo del Sud, il turismo non sta dando i risultati sperati. I numeri parlano chiaro: il Mezzogiorno registra meno della metà delle presenze turistiche per abitante rispetto al Centro-Nord. E, dopo il crollo dovuto alla pandemia, il recupero è stato più lento: -8% rispetto ai livelli pre-Covid, contro il -5,1% del resto d’Italia.
Uno dei problemi più evidenti è la carenza di infrastrutture. Senza collegamenti efficienti, il turismo fatica a decollare in maniera stabile e continuativa. A questo si aggiunge la mancanza di una strategia di valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale: il Sud ha un potenziale immenso, ma troppo spesso è lasciato inespresso o mal sfruttato.
Una possibile risposta alla crisi potrebbe arrivare dalla ZES Unica, la Zona Economica Speciale per il Mezzogiorno attiva dal 2024. L’idea alla base è quella di attrarre investimenti con incentivi fiscali e una drastica riduzione della burocrazia. Il successo dell’iniziativa, però, dipenderà dalla capacità di integrarla in una politica industriale più ampia, che miri non solo a facilitare l’apertura di nuove imprese, ma anche a rendere il Sud un territorio realmente competitivo.
Il Sud può ancora salvarsi?
La desertificazione urbana e l’emigrazione di massa non sono processi irreversibili, ma per invertire la rotta serve un piano chiaro, concreto e a lungo termine. Non basta puntare sul turismo o sulle agevolazioni fiscali: il Mezzogiorno ha bisogno di un cambiamento strutturale che riguardi il mercato del lavoro, la qualità dei servizi e le opportunità per i giovani.
Se nulla cambierà, il rischio è che il Sud Italia si trasformi in una terra dimenticata, dove il tempo sembra essersi fermato e il futuro appare sempre più lontano. La partita è ancora aperta, ma il tempo per giocarla sta per scadere.
Articolo a cura di Antonietta Cea