Stringiamo a coorte, (non) siam pronti alla morte!

Questo editoriale doveva essere incentrato sul “peso” della burocrazia, degli apparati e delle sovrastrutture, sull’economia agricola.

Poi, la notizia di un imprenditore agricolo che si sarebbe tolto la vita perché non sarebbe riuscito ad onorare i suoi debiti ha cambiato tutto. Così, la sera stessa in cui è avvenuta la tragedia, ho scritto di getto un commento rivolto ai tanti amici e colleghi che operano nel nostro comparto. Ho voluto scriverlo io non perché i giornalisti non potessero scriverne, anzi sicuramente lo avrebbero fatto meglio. Ma la mia è stata un’urgenza, forse ha avuto una valenza quasi terapeutica: dovevo scrivere perché provavo un dolore immane.

Un dolore che traspariva anche dai messaggi di tutti gli operatori del settore con i quali mi relaziono e che hanno letto il mio intervento. Hanno voluto testimoniarmi con un messaggio non solo la condivisione della mia prospettiva, ma anche una comunanza di sentimenti.

In tanti parlavano di una mancanza di umanità, della perdita di un’empatia che era poi ciò che caratterizzava sino a poco tempo fa gli agricoltori. Ma, diciamocelo francamente, oggi ci viene chiesto di essere imprenditori e siamo costretti a confrontarci con quell’entità quasi eterea che chiamiamo mercato e che per molti ha finito per identificare tutti i mali del nostro settore.

Un signor “Nessuno” cui affibbiare tutte le colpe, anche le nostre. Un mio amico, in un messaggio, però mi ricordava che Nessuno è pur sempre il nome di qualcuno, come diceva Platone. Un qualcuno che ha venduto la propria anima alla speculazione, al lucro “a tutti i costi” che mette in ginocchio poveri cristi che, magari, già danneggiati da anni di maltempo tra gelate e siccità (e chi più ne ha, più ne metta) finiscono col trovarsi sotto giogo in un’annata con prezzi bassissimi, quasi sottocosto.

La legge del mercato, quindi. Affari di geopolitica, di lobbismo, di intrecci illeciti tra imprenditori senza scrupoli e sistemi criminali internazionali. E la povera agricoltura italiana rimane stretta in una morsa che si fa sempre più asfissiante. Cosa fare dunque? In un altro commento c’era l’invito a rimboccarci ancora di più le maniche per uscire da questa situazione. Ma io penso invece che non si tratta più di uscire, si tratta di conviverci.

Convivere con le difficoltà di un’agricoltura moderna che ci impone il confronto con altri territori, in una competizione per attrarre flussi di denaro, persone e informazioni (leggasi conoscenze ed innovazioni tecnologiche).

Io penso che una sola cosa ci rimane da fare: unirci. Aumentare le occasioni di confronto che possono essere un modo per stringere rapporti umani, oltre che professionali. E’ l’umanità la parola chiave. E’ il recupero della voglia di provare emozioni, di conoscere l’altro, ciò che prova, oltre ciò che pensa. E’ la necessità di dare un volto ad un account mail, di dare una voce ad una firma in calce ad un contratto. Molto spesso parliamo di aggregazione tra imprenditori agricoli, trasformatori, commercianti, intermediari per una vera integrazione di filiera. Tutto corretto, tutto bellissimo. Ma io penso che dobbiamo tornare ad avere fiducia nelle persone perché si condividono valori, visioni di sviluppo di uno stesso territorio. Dobbiamo tornare a sentirci parte di unico tutto.

Chiudo con le parole che mi ha postato un mio collaboratore nel gruppo di redazione, perché ritengo utile condividerle:

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso.  Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, la Terra ne sarebbe diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: Essa suona per te”.

A voi tutti rivolgo il mio appello:  stringiamoci a coorte, perché NON siam pronti alla morte.

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