Se c’è un divario tra Politica e Paese, sta a noi coprirlo!

Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. In parte lo siamo diventati e devo dar ragione a Pierpaolo Pasolini che cito nell’incipit di questo articolo.  Anche in questo inizio di campagna elettorale noto che si parla di poltrone, di accordi, di veti incrociati. Ma nessuno che parli di problemi e, soprattutto, di soluzioni. Visto che mi sono lanciato nel gioco delle citazioni che sono come le ciliegie, una tira l’altra, cito anche Ennio Flaiano che parlava di come in Italia non ci sia un’unica verità, bensì ognuno vive ed abita la propria verità.

 

L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da

proporci: la loro

verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi.  In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi”.

Invece oggi la verità  è una sola: il paese è in difficoltà. Una impresa agricola su 3 non riesce più a sostenere i costi, siamo un paese povero che fa sempre più ricorso al reddito di cittadinanza, il potere di acquisto dei pensionati è crollato, il nostro sistema fiscale detiene il record di tassazione per le imprese, abbiamo un sistema logistico che ci rende poco attrattivi agli investimenti esteri, abbiamo un livello di burocratizzazione che tarpa le ali a chiunque voglia fare impresa, i giovani non sentono la necessità di mettersi in gioco perché il mondo del lavoro ha scarso appeal, la meritocrazia è una utopia.

Questi argomenti li saprebbe mettere in fila anche uno studente di terza media, non cerco gli allori per l’originalità. Sono problemi che restano incolonnati da decenni e nei luoghi deputati al policy making, ovvero a creare delle politiche programmatorie, che fanno? Parlano di “tu stai qua, tu di là, tu salti di qua, io di là, con te non ci vengo con quell’altro sì”. Virgoletto, ma non ce ne sarebbe bisogno, perché di metaforico c’è ben poco. Però una cosa la voglio dire: l’antidoto a tutto questo non è la spoliticizzazione, il populismo o il qualunquismo. No. L’antidoto è la POLITICA scritta tutto in maiuscolo, non solo la P. L’antidoto è un interessamento generale a ciò che i politici fanno, a ciò che pensano, a ciò che progettano. Se c’è un divario tra il palazzo e il mondo reale, allora copriamolo noi.

L’agricoltura e in generale tutto l’agroalimentare fa da traino alla nostra economia. Ma il paradosso è che non solo non viene sostenuta, ma viene zavorrata da pesi inutili che mettono a repentaglio la leadership del Made in Italy. Non ci sto a diventare un corpo senza nervi. I miei nervi sono fin troppo sensibili e come me quelli di tanti operatori con cui ho la fortuna di relazionarmi e di lavorare insieme. Diventiamo un unico corpo, ma un corpo capace di reagire agli stimoli esterni. Se da Roma non arrivano segnali, beh allora, diamoglieli noi!

Editoriale a cura di Donato Fanelli

A cura della Redazione di Foglie TV

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