Rafforzare la cooperazione negli studi agronomici per affrontare le nuove sfide

Intervista al Prof. Teodoro Miano Segretario Generale del CIHEAM

Professore, innanzitutto un cenno al nuovo incarico da lei ricoperto in CIHEAM. Che percorso intende portare avanti durante il suo mandato?

L’incarico di Segretario Generale del CIHEAM ha inizio il primo marzo del 2023 ed è un incarico che dura 4 anni. Il percorso è un percorso complesso alcune delle prospettive, delle visioni che ho elaborato in questi mesi riguardano due aspetti. 

Il primo è quello di aprire e di coordinare la realizzazione di un circuito di paesi esterni all’organizzazione, che in qualche misura possano aderirvi. Un circolo di paesi interessato alla pre-adesione, in maniera tale da far crescere il numero di territori presenti all’interno della organizzazione. 

Il secondo aspetto riguarda quello di costruire una serie di percorsi identitari molto forti che riguardino il Ciheam nella sua interezza, un lavoro coordinato che afferisce sia i 4 istituti, sia tutti i paesi coinvolti nell’organizzazione, puntando alla politica e alla strategia delle attività attraverso obiettivi comuni e flagship di alto livello. Ad esempio i principali potrebbero essere il problema della sfida sulla sicurezza alimentare o dei sistemi agro-sostenibili del Mediterraneo, inclusi quelli della Dieta Mediterranea ed il tema delle risorse idriche.

Oggi quanto è importante la cooperazione negli studi agronomici? Quali le sfide imminenti da affrontare?

Gli aspetti della cooperazione internazionale degli studi agronomici sono veramente significativi e importanti. Immaginiamo un sistema di cooperazione internazionale e sviluppo che si allarghi oltre il bacino mediterraneo di riferimento e che possa mettere insieme sia le competenze tecniche che quelle scientifiche, ma anche quelle relative alle policy o alle strategie che alcuni paesi hanno. Si dovrebbe, quindi, pensare di poterle applicare e diffondere in scambi di tipo bilaterali con tutti i paesi che sono interessati al nostro sistema di riferimento. 

Le sfide sono importantissime e riguardano soprattutto gli aspetti della produzione primaria e dell’ambiente, ovvero il sistema delle risorse naturali. Basti pensare alla quantità e alla qualità delle acque che vengono utilizzate in agricoltura. Ma anche ai problemi delle comunità più fragili che tendono a scomparire per la realizzazione dei mercati globali sempre più incidenti su sistemi socio-economici deboli, gli aspetti che riguardano la risorsa del suolo e gli aspetti che riguardano l’erosione, anche di tipo culturale, nei confronti di quelle che sono le tradizioni e le identità dei singoli paesi e delle diverse comunità che coesistono nel bacino del Mediterraneo. 

Dopo questa breve parentesi, mi sposto sull’attualità con l’istituto grande protagonista a Sharm El-Sheik nell’ambito degli incontri tenutisi durante il COP 27. Cosa è emerso da questa importante assise?

I temi emersi dalla COP27 (che ha visto il CIHEAM co-protagonista insieme a tante altre istituzioni del pianeta) ha generato una serie di riflessioni molto importanti sulle tematiche che abbiamo accennato anche prima, ovvero le sfide di tipo ambientale, i cambiamenti climatici ed il loro impatto sui sistemi naturali e sui sistemi produttivi. E poi naturalmente tutti gli aspetti che riguardano la cooperazione internazionale, gli scambi e i canali di comunicazione e tanti altri temi come il raggiungimento delle collaborazioni che riducono il rischio di guerre e conflitti, le migrazioni ed infine il discorso relativo ai canali di trasferimento dei rifugiati per motivi economici o politici.

Come i cambiamenti climatici e la scarsità d’acqua stanno influenzando l’agricoltura delle regioni mediterranee?

I cambiamenti climatici hanno un’importanza rilevante in questo periodo, perché finalmente ci si è accorti, anche a livello addirittura personale ed individuale, di quanto stiano creando delle difficoltà sia ai sistemi produttivi, sia alla vita delle persone. Quando fenomeni di scarsa tenuta dei territori, di disponibilità delle risorse, di impoverimento della biodiversità, di impatti sulle temperature, sulle caratteristiche ambientali e sulle precipitazioni, per fare un esempio, insomma per tutte quelle variabili che colpiscono direttamente il cittadino, naturalmente l’impatto dei cambiamenti climatici diventa più significativo a livello globale. 

E’ evidente che l’aspetto riguardante l’agricoltura è un aspetto che è fortemente influenzato da questi parametri. Gli aumenti di 1 o 2 gradi della temperatura media, già stati raggiunti (in particolare modo nel bacino del Mediterraneo), hanno determinato uno scenario di cambiamenti profondi dei sistemi di produzione, sia per la mancanza delle risorse disponibili, sia per l’orientamento verso nuovi sistemi colturali e nuove specie colturali, che non sono tradizionalmente tipiche delle nostre zone.  

Come cambierà la mappa delle colture nei prossimi anni?

La mappa delle colture è già cambiata radicalmente nel corso dell’ultimo secolo e cambierà progressivamente nel corso del prossimo decennio, soprattutto se le caratteristiche climatiche e gli scenari climatici e metereologici non cambieranno radicalmente. A questo proposito i cambiamenti di temperatura ed i regimi idrici e quindi di umidità dell’aria, porteranno ad una introduzione e alla scomparsa di alcune specie colturali che sono tradizionali di questo paese.

Quali sono le buone pratiche per la gestione di un bene sempre più prezioso come l’acqua?

Il tema dell’acqua in agricoltura è un tema estremamente importante, quanto complesso.

La maggior parte dell’acqua del pianeta viene utilizzata in agricoltura, siamo a percentuali vicine al 70%. Naturalmente la gestione dell’acqua, la gestione delle risorse idriche e della loro qualità sono importanti, non soltanto per i sistemi agricoli, ma anche per la comunità.

Le buone pratiche sono molto articolate. Ci sono esempi di buone pratiche che riguardano l’adozione di sistemi di arido-cultura o sistemi per cui l’impiego di acque irrigue è estremamente contenuto se non addirittura privo, in cui l’acqua deriva soltanto dalla condensazione, che viene poi reimmessa nel sistema produttivo. 

I temi che riguardano la riduzione degli sprechi sono temi infiniti, bisogna iniziare a ragionare in termini di recupero delle acque reflue che sono diventate e lo diventeranno sempre di più preziose.

Dopo il protrarsi delle temperature alte, con la piaggia sono arrivati i primi disastri. Quanto è fragile l’Italia e che tipo di risposte dovrebbero dare i policy maker?

La fragilità del nostro paese è una fragilità conclamata, conosciuta da decenni.

Si conoscono bene quali sono le caratteristiche e le risorse naturali che sono soggette naturalmente al principale danno in funzione dei cambiamenti climatici. I rovesci concentrati, in quantità di tempo estremamente ridotte, sono dei fenomeni sempre più frequenti e che producono dei danni non soltanto ai sistemi produttivi principali, ma anche e soprattutto alla sicurezza delle persone, con un rischio di perdita di vite umane come si dimostra dalle notizie più recenti. 

Aver consentito un utilizzo molto leggero e sottovalutato della gestione delle risorse naturali, arrivando ad abusare del territorio, determina quello che oggi vediamo e purtroppo non c’è da meravigliarsi se queste cose accadono ed accadranno, poiché è sempre l’uomo ad essere corresponsabile di ciò che vediamo e che continueremo a vedere nei prossimi anni.

Un cenno alla Puglia. La Xylella avanza e nel contempo si continua a portare avanti il Piano di rigenerazione. Come va pensata l’agricoltura pugliese da qui fino al 2030? Pensa che subirà cambiamenti in profondità? 

Per quanto riguarda la Xylella e l’avanzata di questa batteriosi, responsabile del disseccamento degli ulivi, è uno dei temi affrontati dal Piano di rigenerazione sostenibile della agricoltura del territorio salentino. 

C’è un progetto di ricerca e di finanziamento legato al Contratto di Distretto che vede la realizzazione di un Piano di rigenerazione molto complesso, perchè prende in considerazione, non soltanto la produzione primaria in campo, ma anche la necessità di reperire risorse idriche di qualità, l’utilizzo di suoli sempre più degradati, l’accesso alle fonti di energia per lo sviluppo di queste attività, l’accesso ai poli di trasformazione di prodotti vegetali e animali in chiave di produzione di alimenti, la logistica, i trasporti, i centri di accumulo, e le comunità, i sistemi socio-economici che vivono su queste filiere produttive.

Il tutto attraverso uno studio che porterà alla realizzazione di una piattaforma ad uso dei principali produttori e delle amministrazioni che fornirà un’idea di come modificare l’assetto della produzione primaria o l’assetto dell’agricoltura della regione in funzione di tutti i cambiamenti. 

La rigenerazione non riguarderà solo le campagne agricole, ma riguarderà anche i centri urbani. Per un’area di circa 7mila km quadrati, quasi metà del territorio regionale, tre province (Lecce, Brindisi e Taranto), 150 amministrazioni comunali e un numero enorme di comunità, associazioni e di individui che ne sono interessati, imprese agricole con una proprietà estremamente frazionata nella filiera olivicola che ha caratterizzato il nostro territorio negli ultimi decenni. 

Come va ripensata l’agricoltura pugliese? Va ripensata non tanto fino al 2030, ma bisognerebbe andare oltre, perché alcuni cicli colturali sono più lunghi. Bisogna ripensare sicuramente alle specie vegetali che sono particolarmente resistenti ai cambiamenti climatici e alle caratteristiche del suolo, alla riduzione della quantità di acqua per alcuni periodi dell’anno, alle risorse naturali che possono compensare alcuni aspetti che riguardano la biodiversità complessiva vegetale, ma anche all’allevamento degli animali che non subiscono problemi legati ai cambiamenti climatici. I cambiamenti devono essere molto profondi ed è quindi opportuno costruire uno strumento di interlocuzione continua con i imprenditori e le associazioni portandoli a vedere e ad immaginare una programmazione di tipo agricolo ed agroalimentare con la finalità di sostenere i sistemi agricoli, che devono essere tutelati per ridurre i fenomeni drammatici di migrazione verso altre zone d’Italia o verso l’estero.

A CURA DELLA REDAZIONE DI FOGLIE TV

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