Prezzo latte, anche dopo l’ok dell’Antitrust il protocollo rimane disatteso
ALLE 120 STALLE CHIUSE NELL’ULTIMO ANNO COL RINCARO COSTI RISCHIANO DI AGGIUNGERSI TANTE ALTRE
Dopo il via libera dell’Antitrust al protocollo d’intesa della filiera lattiero-casearia che prevedeva un aumento fino a 4 centesimi del prezzo minimo del latte alla stalla da parte della grande distribuzione e dei caseifici senza che vi fosse un impatto sui consumatori, la strada sembrava tutta in discesa. Alla vigilia dell’incontro del tavolo latte del 30 dicembre convocato dal Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, l’Autorità Antitrust, infatti, riconosceva che il Protocollo era finalizzato a sostenere “transitoriamente il reddito degli allevatori in una situazione di effettiva emergenza e di forte impennata dei costi di produzione” che metterebbe a rischio il futuro di 26mila stalle presenti in Italia.
Invece le organizzazioni di rappresentanza continuano a lamentare il fatto che le stalle sono costrette a lavorare sotto i costi di produzione. Davanti all’esplosione dei costi di energia e mangimi chiedono di adeguare subito i compensi riconosciuti agli allevatori italiani per tutelare il lavoro e la dignità delle imprese di allevamento ma anche per salvare un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici ed evitare lo spopolamento e il degrado di interi territori soprattutto in zone svantaggiate. La tanto rivendicata integrazione di 4 centesimi di euro per litro consegnato ai trasformatori non arriva agli allevatori perché lo strumento sarebbe molto complesso e farraginoso, oltreché discriminatorio. E in Puglia la situazione non è migliore: prima della fine dell’anno, si è assistito ad un duro braccio di ferro tra l’assessore Pentassuglia (supportato da tutte le organizzazioni) e Confindustria che contestava la delibera di approvazione di Regione Puglia del Protocollo del 7 ottobre, perché fuorviante e contenente un riferimento a prezzo fisso contro cui si era pronunciata l’Antitrust. Ma l’ok dell’Autorità al Protocollo siglato a livello nazionale dalla filiera lattiero-caseraia, ha rimesso la palla al centro, rappresentando un precedente importante perché venga riconsiderato il ‘caso Puglia’, dopo la bocciatura della stessa autorità del protocollo d’intesa siglato a livello regionale, dove i costi di produzione sono più alti che nel resto d’Italia. Dai campi alle stalle si sono impennati i costi di produzione per effetto dei rincari delle materie prime che hanno fatto quasi raddoppiare la spesa per le semine, con l’emergenza Covid che ha innescato un cortocircuito sul fronte delle materie prime con rincari insostenibili per l’alimentazione degli animali nelle stalle dove è necessario adeguare i compensi riconosciuti agli allevatori per il latte e la carne. Infatti le quotazioni dei principali elementi della dieta degli animali, dal mais alla soia, sono schizzati su massimi che non si vedevano da anni con il rischio di perdere capacità produttiva in una regione già fortemente deficitaria per i prodotti zootecnici. L’effetto drammatico è stato la chiusura di oltre 120 stalle in Puglia in 1 anno con le imprese di allevamento da latte allo stremo, per cui le organizzazioni chiedono un’assunzione di responsabilità della filiera tra allevatori, industrie e distribuzione per salvare il latte e le stalle pugliese perché non c’è più tempo.