Pesticidi illegali dalla Cina: una minaccia reale per salute, agricoltura e ambiente

Negli ultimi anni si parla spesso di cibo sano, agricoltura sostenibile e tutela dell’ambiente. Eppure, sotto la superficie di queste buone intenzioni, si muove un mercato parallelo e pericoloso: quello dei pesticidi illegali. L’inchiesta pubblicata da Panorama il 12 aprile 2025 mette in luce un fenomeno inquietante, tanto diffuso quanto ignorato: l’importazione di fitofarmaci vietati – come l’Atrazina e il Carbofurano – direttamente dalla Cina.

Ma cosa significa esattamente? In parole semplici: nonostante queste sostanze siano state bandite da anni in tutta l’Unione Europea per i loro gravi effetti sulla salute e sull’ambiente, continuano ad arrivare nei campi italiani ed europei, utilizzate da agricoltori che cercano di risparmiare o di ottenere raccolti più abbondanti in tempi più rapidi. Il tutto in barba alla legge e alla sicurezza alimentare.

Come funziona questo traffico?

L’indagine di Panorama racconta che acquistare pesticidi illegali è più facile di quanto si pensi. Non servono intermediari o canali oscuri: basta un messaggio su WhatsApp a un fornitore cinese e l’affare è fatto.

Per esempio, cento cartoni di Atrazina – circa una tonnellata – vengono venduti a poco più di 6.500 dollari. La prassi è chiara: si paga un acconto del 30%, si ricevono le foto della merce pronta e poi si salda il resto. Per il Carbofurano, ancora più pericoloso, il prezzo è di circa 40 dollari al chilo. Ovviamente, tutto questo avviene fuori dai canali ufficiali, spesso con etichette false o diciture ambigue per superare i controlli doganali.

Perché questi pesticidi sono così pericolosi?

Atrazina e Carbofurano non sono vietati per capriccio. Sono tra i prodotti più tossici mai impiegati in agricoltura.

L’Atrazina è un erbicida che penetra facilmente nel suolo e nelle acque, interferisce con il sistema endocrino e può alterare lo sviluppo ormonale negli esseri viventi. È persistente: una volta nel terreno o nelle falde, ci resta a lungo. E finisce nei nostri piatti.

Il Carbofurano è ancora peggio. Bastano piccole quantità per uccidere. Agisce sul sistema nervoso bloccando un enzima fondamentale (l’acetilcolinesterasi). È stato bandito già nel 2008 nell’UE, ma continua a fare vittime tra animali selvatici e, nei casi più gravi, anche tra esseri umani. È pericoloso per chi lo usa, per chi vive nelle zone agricole e per chi consuma prodotti contaminati.

Perché gli agricoltori lo usano ancora?

La risposta è semplice, seppur amara: per convenienza economica.

Chi produce ortaggi, frutta o cereali su larga scala spesso si trova sotto pressione: prezzi bassi, concorrenza spietata, richieste sempre più alte in termini di quantità e qualità. E quando il margine di guadagno si assottiglia, la tentazione di usare un “prodotto efficace e veloce” è forte. Soprattutto se c’è chi lo offre a buon prezzo e garantisce consegne rapide.

Ma questo è un gioco pericoloso. Non solo perché si viola la legge, ma anche perché si mette a rischio la salute dei consumatori, degli stessi agricoltori, e si inquina in modo irreversibile l’ambiente.

Chi ci guadagna?

Dietro a questo traffico non ci sono solo singoli fornitori, ma vere e proprie reti criminali internazionali. Operano come una filiera parallela: dalla produzione (in Cina o in altri paesi asiatici), alla distribuzione (tramite corrieri e spedizioni camuffate), fino alla rivendita locale (magazzini agricoli informali, fiere non ufficiali, passaparola tra agricoltori).

Queste reti sanno aggirare i controlli, adattarsi alle regole e sfruttare le falle normative. Usano piattaforme di e-commerce, cambi di etichettatura, e spesso si avvalgono anche di professionisti compiacenti.

Quali sono i rischi per i cittadini?

Il primo rischio è quello alimentare: cibi contaminati da residui tossici, non sempre visibili, che finiscono sulle nostre tavole. I controlli ci sono, ma non bastano a monitorare ogni prodotto.

Poi c’è il rischio ambientale: pesticidi che finiscono nei fiumi, nelle falde acquifere, nel suolo. Uccidono api, uccelli, pesci e alterano interi ecosistemi. È un danno che dura anni.

Infine, c’è il danno alla legalità: chi lavora correttamente, rispettando le regole, si trova penalizzato rispetto a chi opera nell’illegalità. È una concorrenza sleale che colpisce le aziende etiche, proprio quelle che dovremmo sostenere.

Cosa si può fare?

La strada per combattere questo fenomeno è complessa, ma necessaria.

  • Servono controlli più severi, non solo alle frontiere, ma anche nei punti vendita e nei campi.
  • Bisogna investire in educazione agricola: formare gli agricoltori, spiegare i rischi, offrire soluzioni alternative (come la lotta biologica e la gestione integrata dei parassiti).
  • Occorre rafforzare la cooperazione internazionale, soprattutto con i paesi produttori, per bloccare le esportazioni illegali alla fonte.
  • E serve una cultura della legalità anche in agricoltura, dove troppo spesso si chiude un occhio “perché lo fanno tutti”.

Conclusione

L’inchiesta di Panorama ha messo in luce una realtà scomoda, ma urgente. I pesticidi illegali non sono un problema lontano o marginale: sono qui, nei nostri campi, e rischiano di diventare una bomba a orologeria per salute, ambiente ed economia.

Ignorarli significa accettare un’agricoltura tossica. Affrontarli, invece, è un dovere civile, politico e morale. Perché un’agricoltura che uccide non è più agricoltura: è criminalità.