Per la rubrica #diteloafoglie Siamo con la cantina Donna Viola per parlare della sua annata vitivinicola

La seguente intervista si colloca all’interno di un più vasto progetto nato su iniziativa di e portato avanti da Foglie: l’idea di fondo è quella di dare spazio, e quindi voce, alle giovani imprenditorie dall’ambito agricolo. Donna Viola è un’azienda vitivinicola del territorio pugliese gestita da una giovanissima donna, le cui spinte di base sono quelle di portare avanti, insieme, tradizione e innovazione, al fine di creare una nuova identità.
A cura di Marika Romanazzi

Raccontaci qualcosa sull’azienda vinicola Donna Viola.
Certo. Io sono la quinta generazione di vinicoli perché, in un certo qual modo, Donna Viola nasce nel 1865: ci sono, quindi, ben 150 anni di storia che ci conferiscono affidabilità e credibilità nel nostro settore. Quando io ho scelto di intraprendere questo percorso, ho fatto una scelta, se così si può dire, estremamente campanilista con l’obiettivo di valorizzare l’autoctono pugliese: Donna Viola nasce con la sfida di proporre il vitigno autoctono pugliese a livello non solo nazionale ma anche internazionale. Di conseguenza, la nostra produzione è al 100% pugliese: abbiamo 10 ettari di vigneti a spalliera poco distanti dalla nostra azienda e questo ci permette di avere un controllo qualitativo diretto e privo di dispersione. Anche il comparto commerciale passa dalla nostra azienda: l’obiettivo è quello di garantire la miglior qualità che possiamo presentare al cliente e gestire il settore commerciale in modo tale da allocare il prodotto in uno standard che ci rappresenta.

Che annata è stata questa dal punto di vista quantitativo e qualitativo?
Devo essere sincera, come ti anticipavo poco fa, avendo noi la possibilità di gestire autonomamente i nostri terreni, e quindi le uve che impieghiamo per la produzione, è difficile poter definire “è una buona annata” o “non è una buona annata”. Però, sicuramente, questa è stata una buona annata, abbastanza soleggiata, non piovosa e questo ha evitato lo sviluppo di muffe e malattie nei vigneti, quindi una buona annata dal punto di vista qualitativo con un leggero decremento dal punto di vista quantitativo, cosa che non ci tocca particolarmente da vicino perché noi tendiamo a mantenere i nostri terreni e i nostri vigneti a regimi tendenzialmente bassi perché, si sa, inferiore è la quantità, maggiore sarà la qualità.

In questo momento di difficoltà nel mondo del vino, quali sono le vostre priorità in cantina? E come pensi si stia evolvendo il mercato del tuo settore in questo momento?
Questo è tendenzialmente il periodo di affinamento, e quindi di stasi dal punto di vista aziendale. Ovvio che, in periodi diciamo normali, questo sarebbe stato, però, il periodo più forte dal punto di vista commerciale perché ci avviciniamo al Natale e alla fine dell’anno e questo avrebbe portato ad un boom di vendite. Ma, contestualizzandoci, la priorità ora diventa quella di reinventarsi, di cercare di proporre il nostro prodotto, in queste circostanze, in diverse chiavi e modalità al fine di renderlo appetibile e di incuriosire il cliente. Abbiamo fatto un lavoro di rimodulazione delle nostre proposte e del nostro stesso linguaggio, spostandoci di più sul digitale, attraverso i social e le enoteche online, per cercare di rispondere a quelle che sono le nuove esigenze del mercato.

Sono stati approvati due decreti per aiutare il settore vitivinicolo. Come vedi questi aiuti?
Io, personalmente, sono venuta a conoscenza di uno dei due decreti, se facciamo riferimento al decreto relativo alle giacenze di Igt e Dop. Io penso che, in prima battuta, può essere un’idea e un aiuto molto interessante. Però, se si considera che, in realtà, parliamo di giacenze al 31 luglio 2020, e di conseguenza, ai fini di poter ricevere questo ristoro, saremmo obbligati a rimanere in fermo con le giacenze per sei mesi, perché se non ho interpretato male il decreto richiede proprio questo, diventa difficile per noi poter accedere per due motivi principali: innanzitutto, perché, avendo lavorato veramente poco, noi abbiamo la necessità di ripartire nel nostro percorso lavorativo appena la situazione si sblocca; e in secondo luogo, perché il vino è un prodotto deperibile che non può sottostare a questa condizione. Quindi, io sicuramente non vi accederò per chiare ragioni ma anche perché l’imprenditore non è, dal mio punto di vista, colui che vede bene questi aiuti, semplicemente perché l’imprenditore è vivo non solo quando guadagna o sviluppa volume d’affare, ma è vivo quando ha la possibilità di potersi mettere in gioco, di poter intraprendere percorsi, di poter avere e sviluppare iniziative. Nel momento in cui si ricevono aiuti ma l’attività è ferma, la stasi dell’attività diventa, di conseguenza, anche un fermo psicologico e mentale della persona, perché si sa che l’imprenditore vive in funzione della propria attività.

Secondo te, qual è il futuro del vino?
Bella domanda. Sinceramente, stiamo ancora cercando di capirlo. La cosa positiva è che, sicuramente, queste restrizioni e il lockdown iniziale, hanno, secondo me, un po’ ampliato la sfera di consumo: il vino è diventato non più solo per gli over 40 e per gli intenditori, ma anche per le donne (e questo mi fa estremamente piacere) ma soprattutto per i millenials, i quali hanno iniziato ad approcciarsi a questo mondo, che sia per moda, per curiosità o per gusto, cambiando di molto lo spettro di vendita e di consumo. E, in relazione a questi aumenti, si vede sicuramente una maggiore proposta di prodotto sull’online; noi, quindi, cerchiamo di sviluppare maggiormente questo canale, più semplice e intuitivo e sicuramente privilegiato dalla situazione attuale. Però è anche vero che il vino non è un capo d’abbigliamento né un elettrodomestico: il vino richiama, necessariamente, condivisione, qualcuno che te lo racconti e che te lo spieghi perché il vino è storia, è un racconto, è una partecipazione. Quindi, sicuramente, io vedo la crescita di questo canale ma resto dell’opinione che il vino è interno e strettamente connesso alla ristorazione e alla convivialità: il futuro del vino lo vedo più proiettato, rispetto al passato, verso le enoteche e le proposte online, ma penso anche che, nel momento in cui si ritornerà ad una pseudo “normalità”, ci sarà l’esigenza di volersi sedere ad un tavolo e farsi raccontare un calice di vino, e questa è una cosa imprescindibile che non è il Covid a poter cambiare.

Potrebbe interessarti anche...