Per i fabbricati rurali strumentali quel che conta è la destinazione

Per i fabbricati rurali strumentali quel che conta è la destinazione

Al fine del riconoscimento della ruralità di un fabbricato strumentale è determinante l’oggettiva destinazione dello stesso a servizio di un’attività agricola, indipendentemente dall’estensione dei terreni.

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 369 del 10 settembre, in risposta ad un quesito posto da una contribuente titolare di partita IVA dedita alla coltivazione di un vigneto della superficie di appena 0,44 ettari, ha confermato che un fabbricato di categoria D/10 asservito al fondo, a differenza di quanto avviene per gli immobili a destinazione abitativa, è considerato rurale a prescindere dall’estensione del terreno.

L’Ufficio ricostruisce il quadro normativo relativo al riconoscimento di ruralità, evidenziando che l’articolo 9 del D.L. 557/1993 pone una distinzione tra i fabbricati a destinazione abitativa rispetto ai fabbricati strumentali all’attività dell’impresa.

In particolare, per i fabbricati a destinazione abitativa, i requisiti da soddisfare sono riportati all’art. 9 comma 3 che stabilisce:

  • criteri oggettivi, riferiti alle caratteristiche dell’azienda agricola e dei fabbricati, tra cui la superficie minima dei terreni aziendali;
  • criteri soggettivi, riferiti all’utilizzatore dell’immobile oppure al conduttore dei terreni aziendali.

Invece, per quanto riguarda le caratteristiche dei fabbricati rurali strumentali, il successivo comma 3-bis si limita ad un’elencazione delle destinazioni che il fabbricato deve avere senza richiedere requisiti di carattere soggettivo. Sono pertanto fabbricati rurali, in quanto strumentali all’attività agricola, quelli destinati:

  1. alla protezione delle piante;
  2. alla conservazione dei prodotti agricoli;
  3. alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento;
  4. all’allevamento e al ricovero degli animali;
  5. all’agriturismo, in conformità a quanto previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96;
  6. ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento;
  7. alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna;
  8. ad uso di ufficio dell’azienda agricola;
  9. alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;
  10. all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso.

Come giustamente rilevato dall’Agenzia, l’elemento caratterizzante di questa categoria di immobili è la sola destinazione e connessione degli stessi all’attività agricola svolta e, conseguentemente, non è obbligatorio che la superficie minima del terreno coltivato sia di 10.000 mq (3.000 in zona montana) come, invece è richiesto per i fabbricati a destinazione abitativa.

Per tali motivi, l’unico elemento che si dovrà verificare in caso di accertamento della ruralità di un fabbricato accatastato in D/10 sarà la sua destinazione alle attività di cui all’art. 2135 del codice civile, senza a nulla rilevare l’estensione del terreno.

 

FONTE: CONSULENZA AGRICOLA

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