Open To Agricoltura?
In questi giorni in cui si celebra (o si autocelebra) la campagna di Armando Testa “OPEN to meraviglia” (che ho particolarmente gradito, a dire il vero) una domanda mi rimbalza, in modo forsennato, in testa: forse, e dico forse, dovremmo iniziare a raccontare (e a vendere) la nostra agricoltura come qualcosa di immateriale. PURA BELLEZZA.
Qualcosa di estetico e di estatico che nulla a che fare col piacere sensoriale del gusto. Semplice esperienza contemplativa. Perché vi dico questo? Perché a me piace creare collegamenti, fare matching tra dati. Provo a metterli in fila: in Italia non nascono più imprese agricole condotte da giovani, la famose start up. Il tasso di mortalità delle imprese è maggiore al tasso di natalità.
E ciò fa il paio con il dato puramente demografico: siamo un paese di vecchi e, aggiungo io, per vecchi. Già! Perché la nostra famosa e tanto sbandierata Dieta Mediterranea sta invecchiando insieme a noi: abbiamo il tasso di obesità infantile più alto d’Europa. Le campagne si svuotano di giovani attratti dalla città o dall’estero per le maggiori opportunità lavorative. E noi siamo ancora qui a chiedere che la nostra Dieta diventi Patrimonio dell’Unesco. Epperò, è qui che mi si insinua il dubbio: forse forse la nostra cultura enogastronomica, retaggio di un mondo rurale che sta scomparendo, potrà essere qualcosa da ammirare nei musei. Qualcosa da contemplare.
Per la serie OPEN to campagna, dove al posto della Venere potremmo inserire in un visual altrettanto attrattivo, la Giovane Contadina di Giuseppe Bonito. E noi lì, a contemplare la bellezza di un tempo ormai andato. Un po’ quello che qualche imprenditore agricolo continua a fare con i propri prodotti.
Nei giorni scorsi sorridevo all’immagine rappresentata dal prof. Della Casa intervenuto in qualità di relatore ad un incontro della Commissione Uva da Tavola che descriveva gli agricoltori intenti a dare le spalle all’uditorio per ammirare il muro: metafora che andava a significare l’atteggiamento di chi non guarda (in faccia) il mercato e continua a contemplare il prodotto che “è il più bello e il più buono”, ma che nessuno compra, o per lo meno compra molto meno rispetto al passato. Cambiano i gusti, ma stanno cambiando anche i consumi. Gli acquisti di frutta sono crollati nel 2022 dell’8% in quantità rispetto allo scorso anno, ai minimi da inizio secolo.
Gli italiani hanno ridotto del 17% le quantità di pere, del 11% le arance e l’uva da tavola, dell’ 8% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% le mele. Il risultato è che con 2,8 miliardi di chili nel 2022 il consumo di frutta degli italiani è risultato poco piu’ della metà di quello di fine secolo nel 2000 con pre- occupanti effetti sulla salute dei cittadini. Il brusco calo ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona, da mangiare in più volte al giorno, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per una dieta sana.
Dunque per chi produciamo? Per l’estero ovviamente. Ma basterà, visto che i trend in crescita sono frutto di una risalita e non di un surplus? La sensazione è che a lungo andare non basterà. Rischia, infatti, di sparire il frutteto italiano, ridotto di un terzo (-33%) negli ultimi 15 anni con la scomparsa di oltre 140 mila ettari di piante di mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti. La superficie coltivata a frutta è passata da 426 mila ettari del 2000 agli attuali 286 mila. Il taglio maggiore ha interessato i limoni, con la superficie dimezzata (-50%), seguiti da pere (-41%), pesche e nettarine (-39%), arance (-31%), mele (-27%), clementine e mandarini (-18%). A determinarne la scomparsa è stato il crollo dei prezzi pagati agli agricoltori che non riescono più a coprire neanche i costi di produzione.
Un disboscamento delle campagne dovuto quindi all’invasione di frutta straniera, con importazioni che negli ultimi 15 anni sono aumentate del 37%, pari a quasi 2,1 miliardi di chili, ma anche ad una progressiva riduzione dei consumi da parte delle famiglie passato da 244 chili annui del 2000 ai circa 178 chili del 2014, con un taglio del 27%.
Editoriale a cura di Donato Fanelli