Nuove scoperte sulla relazione tra alimentazione industriale e invecchiamento biologico

La ricerca scientifica continua a svelare i complessi legami tra ciò che mangiamo e la nostra salute a lungo termine. Un recente studio italiano ha messo in luce un aspetto spesso trascurato: il livello di lavorazione industriale degli alimenti e il suo impatto sull’invecchiamento biologico. Condotto dall’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS) in collaborazione con l’Università Lum di Casamassima (BA), il lavoro ha evidenziato come un consumo elevato di alimenti ultra-processati possa accelerare il processo di invecchiamento a livello cellulare e organico.
Pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, lo studio apre nuove prospettive su come la qualità e la formulazione dei cibi possano influenzare la nostra salute nel tempo. La ricerca si basa sui dati raccolti dallo Studio Moli-sani, una vasta indagine epidemiologica che da due decenni coinvolge circa 25.000 adulti residenti in Molise. Attraverso questionari dettagliati sulle abitudini alimentari, i ricercatori hanno analizzato il consumo di alimenti ultra-processati (Upf), una categoria di prodotti industriali sottoposti a molteplici fasi di trasformazione e arricchiti con zuccheri, sale, additivi, coloranti e aromi.
Ma cosa si intende esattamente per “invecchiamento biologico”? Diversamente dall’età anagrafica, questa misura complessa riflette lo stato reale di salute dell’organismo, considerando la funzionalità degli organi e i livelli di infiammazione sistemica. Per stimarla, gli scienziati hanno analizzato oltre trenta biomarcatori ematici, ottenendo un quadro più accurato del processo di invecchiamento.
Simona Esposito, prima autrice dello studio e recentemente premiata con il “Gianni Barba” durante il Congresso Sinu di Salerno, ha commentato: “I risultati indicano che chi consuma più alimenti ultra-processati tende ad avere un’età biologica superiore rispetto a quella cronologica, suggerendo un’accelerazione dell’invecchiamento legata a queste abitudini alimentari”.
Un aspetto particolarmente interessante è che questa relazione si mantiene anche indipendentemente dalla qualità complessiva della dieta. In altre parole, anche chi segue un regime alimentare apparentemente equilibrato, ricco di frutta, verdura e fibre, può mostrare segni di invecchiamento più rapido se include una quota significativa di cibi ultra-processati.
Gli alimenti di questo tipo sono molto diffusi e non si limitano a snack e bibite gassate: comprendono anche pane confezionato, cereali per la colazione, zuppe pronte e yogurt aromatizzati. Inoltre, il packaging in plastica può rilasciare sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute.
Sebbene siano necessari ulteriori studi per chiarire appieno i meccanismi coinvolti, i dati attuali invitano a riconsiderare le raccomandazioni alimentari. Finora, l’attenzione si è concentrata su calorie, zuccheri, grassi e sale, ma ora si rende evidente l’importanza di valutare anche il grado di lavorazione industriale dei cibi. Promuovere l’educazione alimentare, favorendo il consumo di prodotti freschi e minimamente trattati, come suggerisce anche la Dieta Mediterranea, potrebbe rappresentare una strategia efficace per favorire una vita più lunga e di qualità. È fondamentale che i consumatori imparino a leggere le etichette e a preferire alimenti naturali, riducendo l’assunzione di prodotti altamente industrializzati. Questo approccio non solo aiuta a mantenere un equilibrio nutrizionale, ma può anche contribuire a rallentare i processi di invecchiamento biologico, migliorando la salute generale nel tempo.
Simona Esposito conclude sottolineando come questi risultati rappresentino un importante richiamo: l’alimentazione non è solo una questione di energia o di nutrienti, ma anche uno strumento potente per influenzare la longevità e la qualità della vita. In un’epoca in cui l’invecchiamento della popolazione rappresenta una delle sfide principali del sistema sanitario, comprendere e limitare i fattori che accelerano il declino biologico diventa una priorità di salute pubblica.
In definitiva, questa ricerca invita a ripensare le nostre abitudini alimentari e a promuovere politiche e pratiche che favoriscano un’alimentazione più naturale e meno industrializzata, per preservare la salute e il benessere delle future generazioni.