Non solo api produttrici di miele. L’impollinazione è il risultato di una attività complessa che coinvolge numerosi animali

Foto di Onofrio Panzarino

Il declino degli impollinatori e l’incremento delle aree destinate a colture dipendenti dall’impollinazione incrociata osservati negli ultimi decenni a livello globale, richiedono una transizione in agricoltura a gestioni agronomiche che favoriscano la presenza degli impollinatori e che rendano il loro servizio più efficace. Inoltre, la promozione di habitat-rifugio per gli impollinatori (siepi, muretti a secco con vegetazione spontanea, incolti anche marginali, boschetti, fasce floreali appositamente pensate e realizzate, ecc.) può aumentare la quantità di risorse floreali in grado di attrarre e sostenere popolazioni di impollinatori ed incrementare l’entità del servizio da loro offerto a favore di una maggiore produzione agricola.

Quando pensiamo agli impollinatori, ci torna facile e rapido pensare all’ape domestica produttrice di miele e ai suoi alveari. Quasi sempre dimentichiamo, però, che l’impollinazione è il risultato di una attività complessa che coinvolge numerosi animali, seppure con una netta prevalenza degli insetti (api sociali, semisociali e solitarie, bombi, farfalle, ecc.).

Le ricerche compiute in ecosistemi poco disturbati come le praterie ed i pascoli, suggeriscono che esista una competizione tra api domestiche e selvatiche per le risorse floreali disponibili, con effetti negativi sull’abbondanza di queste ultime e sulla produzione di semi da parte delle piante spontanee, cosa che appare particolarmente evidente in caso di scarsità di risorse. Se questo accadesse nei sistemi agricoli, ne conseguirebbe un ulteriore indebolimento dell’attività degli impollinatori selvatici e una riduzione delle produzioni. Infatti, esistono evidenze che suggeriscono come molte colture dipendenti dall’impollinazione incrociata ricevano maggiore vantaggio dall’azione degli impollinatori selvatici rispetto all’ape domestica.

La tipologia di interazioni tra queste diverse entità sembrano però dipendere anche dai contesti considerati (es. coltura considerata, complessità del paesaggio circostante etc.), passando da negativa a positiva fino a sinergica. L’interazione ecologica tra le api domestiche, gli impollinatori selvatici, le piante spontanee e coltivate è estremamente complessa e difficile da interpretare per le molte variabili in gioco, richiedendo numerose e dettagliate indagini su larga scala e in condizioni colturali ampiamente diversificate.

Alcuni ricercatori statunitensi si sono occupati di valutare quanto le piante da fiore possano effettivamente favorire la presenza e l’azione degli impollinatori selvatici su fragola e zucca allorquando si fa ricorso all’introduzione di alveari in coltura. L’indagine è stata pubblicata da poco sulla rivista Scientific Reports facente parte del portfolio Nature. Gli autori sono partiti dalla considerazione che molti produttori agricoli predispongono fasce di piante da fiore nei loro campi con lo scopo di garantire aree rifugio e attrattive per gli impollinatori selvatici, mitigarne il declino e favorire l’impollinazione delle colture vicine.

Gli autori hanno osservato anche come spesso gli stessi produttori introducano alveari di api mellifere a supporto dell’impollinazione della coltura. In realtà, gli studi che valutino la competizione fra la laboriosa ape domestica e la comunità dei ben meno noti, ma molto vari, impollinatori selvatici sono molto rari e complessi da compiere. La realizzazione di queste fasce floreali rappresenta un’ulteriore variabile che interagisce tra gli impollinatori e tra questi e la coltura, e il loro impatto è stato poco valutato. I dati raccolti hanno indicato come il numero delle specie di apoidei selvatici (biodiversità dell’ecosistema) sia aumentata con la densità della fioritura delle fasce, anche se la numerosità degli impollinatori non ha mostrato differenze significative tra frutteti con fasce e senza fasce. L’aspetto rilevante è stato l’aumento del numero di frutti prodotti nei frutteti provvisti di fasce, almeno in uno dei due anni di studio. L’introduzione degli alveari, invece, in questi contesti ha cambiato i risultati. Infatti, la numerosità degli apoidei selvatici coinvolti (abbondanza) si è ridotta del 48%, la numerosità (ricchezza) delle specie del 20% e la produzione di fragole del 18%, indipendentemente dalla presenza delle fasce di fiori. Con questo studio gli autori suggeriscono che la presenza di abbondanti e altamente competitive api da miele può indurre una riduzione della presenza di impollinatori selvatici e conseguentemente della produzione, e che la presenza di fasce fiorite potrebbe non compensare questa situazione.

Tuttavia, questi risultati, seppure interessanti, richiedono approfondimenti e numerose repliche nei diversi ecosistemi agricoli/rurali e nelle condizioni pedo-climatiche. Sicuramente pongono l’attenzione sulla necessità di intensificare lo studio della sostenibilità economica e ambientale.

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Autore: Rosa Porro

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