L’impresa agricola può fallire? PRIMA PARTE

Con il Codice della crisi, l’imprenditore agricolo accede finalmente a un meccanismo legale per affrontare l’insolvenza senza restare intrappolato nel debito. Una rivoluzione silenziosa nel cuore del mondo rurale.
Nel panorama della crisi d’impresa italiana, l’agricoltura ha sempre occupato una posizione peculiare, spesso marginalizzata dal diritto concorsuale classico. Per decenni, infatti, l’imprenditore agricolo è stato escluso dalla possibilità di accedere a procedure fallimentari. Non per una presunta immunità al rischio economico, ma per una visione antiquata e protettiva che finiva, paradossalmente, per penalizzarlo. Senza strumenti giuridici adeguati, l’agricoltore in difficoltà si trovava privo di mezzi per uscire in modo ordinato da una situazione di dissesto economico.
Oggi, questa anomalia trova finalmente una soluzione strutturale. Con l’introduzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza anche l’imprenditore agricolo viene incluso tra i soggetti legittimati ad accedere alle procedure di sovraindebitamento, in particolare alla liquidazione controllata. Si tratta di un cambiamento normativo profondo, che riconosce l’impresa agricola come una realtà economica a pieno titolo, dotata di diritti e doveri alla pari degli altri settori produttivi.
Una definizione chiara di sovraindebitamento
Il concetto giuridico di “sovraindebitamento” costituisce il perno su cui ruotano le nuove tutele. Si tratta di una condizione in cui il debitore, pur non soggetto a fallimento o ad altre procedure maggiori, non è più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. È un indebitamento eccessivo che sfugge ai tradizionali meccanismi di ristrutturazione previsti per le grandi imprese.
A norma di legge, rientrano nella categoria di soggetti sovraindebitati anche i professionisti, i consumatori, le start-up innovative, le imprese minori e, in maniera esplicita, gli imprenditori agricoli. Questa inclusione non è solo simbolica: comporta la possibilità di accedere a due distinti percorsi procedurali. Se l’intento è la continuità dell’attività, si può ricorrere al concordato minore; se, invece, la situazione è irreversibile, si attiva la liquidazione controllata.
La liquidazione controllata per l’agricoltura: un’eccezione virtuosa
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda l’applicabilità della liquidazione controllata senza limiti dimensionali all’impresa agricola. A differenza degli imprenditori commerciali, che possono accedere a questa procedura solo se non superano determinati parametri (attivi inferiori a 300.000 euro, ricavi sotto i 200.000 e debiti non oltre i 500.000 euro), l’imprenditore agricolo è ammesso in ogni caso. Questo riconoscimento prende atto della specificità del settore primario, soggetto a variabili climatiche, cicli produttivi lunghi e mercati instabili.
Il caso emblematico trattato dal Tribunale di Pistoia illustra bene la portata dello strumento. Una società agricola, oberata da cartelle esattoriali per oltre 900.000 euro e con più procedure esecutive in corso, ha chiesto l’accesso alla liquidazione controllata. Il giudice ha riconosciuto l’evidente stato di insolvenza e ha dichiarato aperta la procedura, evidenziando come l’assenza di strumenti alternativi rendesse necessario il ricorso a questa forma ordinata di uscita dalla crisi.
Non solo chiusura, ma razionalizzazione della fine
Sebbene la liquidazione controllata si configuri come una procedura finalizzata alla cessazione dell’attività, essa non si riduce a un puro smantellamento patrimoniale. Al contrario, rappresenta un percorso giuridicamente sorvegliato e socialmente responsabile per consentire al debitore di liberarsi dal peso dei debiti non più sostenibili, tutelando al contempo l’interesse dei creditori.
Il meccanismo si articola in più fasi: la nomina di un liquidatore, la redazione dell’inventario, l’eventuale autorizzazione alla continuazione temporanea dell’attività (laddove economicamente vantaggiosa) e infine la chiusura con possibilità di esdebitazione per il debitore persona fisica. Questo aspetto è tutt’altro che secondario: offre una vera e propria riabilitazione economica e civile al soggetto sovraindebitato.
Verso una nuova cultura della crisi
Nel comparto agricolo, dove la crisi è spesso vissuta in solitudine e con un forte senso di fallimento personale, la disponibilità di uno strumento giuridico chiaro, accessibile e legittimo rappresenta una conquista culturale oltre che normativa. La liquidazione controllata, infatti, permette di trasformare la crisi in un evento gestibile, che non travolge l’identità dell’imprenditore, ma che può essere affrontato con consapevolezza, trasparenza e dignità.
Il Codice della crisi restituisce agli imprenditori agricoli la possibilità di scegliere un percorso legale di uscita da situazioni irrecuperabili. Non una via di fuga, ma un tragitto razionale verso la fine dell’attività, con la possibilità di ricominciare. In un settore dove la resilienza è quotidiana, questa è forse la risorsa più preziosa.
A cura di Antonietta Cea