L’EDITORIALE | Costi su, quotazioni giù: è la guerra dei prezzi

E’ la guerra baby. E’ la frase che ricorre nei film di guerra pieni zeppi di clichè. Ma oggi, nel contesto attuale, si giocano più guerre contemporaneamente e la riprova è data dalla speculazione in atto nel comparto agroalimentare che sta provocando un divario abnorme tra prezzi allo scaffale e quotazioni agricole. I primi salgono ed i secondi scendono, in barba a qualsiasi regola di mercato. Il prezzo del grano è sceso del 28% rispetto ai massimi raggiunti all’inizio del mese di marzo con una netta inversione di tendenza, a conferma delle speculazioni in atto. Le quotazioni del grano sul mercato future sono scese a 10,63 dollari per bushel (27,2 chili) mentre quelle del mais a 7,41 dollari. Stesso discorso per altri prodotti: broccoli -15%; fragole -10%; cavolfiori -10%.

Ci hanno insegnato che se c’è poca disponibilità di una risorsa, il prezzo sale. Vale per tutto, tranne che per i prodotti agricoli. O meglio: vale se parliamo di economia reale, ma se ci spostiamo sul lato delle transazioni finanziarie, tutto cambia. Le quotazioni, ormai, dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future”, uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.

Una speculazione sulla fame che nei Paesi più ricchi provoca inflazione e povertà, ma anche gravi carestie e rivolte nei Paesi meno sviluppati come emerge dall’analisi del Center for Global Development Usa secondo il quale le quotazioni potrebbero spingere più di 40 milioni di persone in tutto il mondo in una “povertà estrema”. 

E in Italia il gioco del rimpiattino è già iniziato: tutto ciò si ripercuote ovviamente anche sui consumatori, che hanno visto lievitare i prezzi alimentari con punte dell’11% per la pasta, del 4% per la carne e del 5% per lo zucchero e il pane.

Purtroppo in tanti hanno scoperto l’acqua calda, ovvero che le politiche economiche ed agricole elaborate negli ultimi decenni ci hanno portato a dipendere sempre più dagli altri, e in questo caso la globalizzazione c’entra solo in parte. L’ Italia che è un Paese deficitario su molti fronti per quanto riguarda il cibo produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento. 

Nello scorso numero abbiamo provocato scrivendo, in maniera caustica, della corsa alla sovranità alimentare. Prima ancora avevamo fatto un focus sull’inflazione, analizzandone i trend. Ma diciamocela tutta: chi davvero crede di poter recuperare anni di politiche sbagliate con lo svincolo dei terreni a riposo e con qualche altra misura “in deroga” ai dettami della nuova PAC? Lo sappiamo tutti che sono misure contingenti. Dovremo capire, prima o poi, che ne vogliamo fare del Green Deal e delle azioni votate ad una Transizione Green calata dall’alto sul mondo agricolo che, come sempre, paga il prezzo più alto in questi cambi repentini di rotta. Dopo aver svenduto la nostra agricoltura, basteranno 35mila a impresa agricola per traghettarle fuori dalle acque agitate di questa burrasca di cui si conosce l’inizio (ormai 2 anni fa) e non la fine? Ai posteri l’ardua sentenza!

 

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