Le diverse fotosintesi dell’olivo

L’olivo è una pianta sempreverde che presenta interessanti aspetti del processo fotosintetico e della traslocazione dei carboidrati verso i frutti per la sintesi, principalmente, dei grassi e di numerose altre sostanze caratteristiche (vedi sostanze fenoliche, aromatiche, ecc.).
La principale fonte di zuccheri, ma non l’unica, è la foglia, dalla quale questi vengono trasferiti, via floema, nei siti di stoccaggio rappresentati primariamente dalle drupe.
La fonte “secondaria” è costituita dai frutti stessi che, rimanendo verdi a lungo, conservano attivi i cloroplasti e, quindi, l’attività fotosintetica.
Mentre, però, la clorofilla è localizzata soprattutto nella parte più esterna del frutto (esocarpo), il mesocarpo (polpa) contiene significative quantità di Fosfoenol-Piruvato carbossilasi (PEPCasi), l’enzima di fissazione della CO2 delle vie biosintetiche CAM e C4.
Durante il periodo di crescita delle drupe è necessaria un’intensa respirazione mitocondriale degli zuccheri importati dal floema per sostenere la divisione e la distensione cellulare.
A causa di questo intenso metabolismo e dell’impermeabilità della cuticola del frutto, la CO2 prodotta dalla respirazione si accumula in quantità elevate negli spazi liberi intercellulari.
Grazie alla carbonico anidrasi la CO2 viene convertita rapidamente e in modo reversibile in bicarbonato secondo la seguente reazione CO2+H2O⮕HCO3-+H+ (Keq=1,7*10-4). La PEPCasi citosolica ha un’elevata affinità per l’HCO3- e, quindi, un’alta attività anche quando l’HCO3- è a bassa concentrazione. Essa catalizza la reazione fra l’HCO3-, fornita dalla respirazione mitocondriale degli zuccheri, con il fosfoenolpiruvato, un composto a tre atomi di carbonio (Fosfoenolpiruvato+HCO3-⮕Ossalacetato+Pi). Il prodotto della reazione, l’ossalacetato, un composto a quattro atomi di carbonio, viene ulteriormente convertito in malato dall’enzima NADP-malato deidrogenasi (Ossalacetato+NADP+H+⮕malato+NADP+). Il malato può essere poi decarbossilato da enzimi malici citosolici o mitocondriali per produrre piruvato e CO2. Quest’ultima viene fissata fotosinteticamente in trioso fosfato nei cloroplasti del frutto, durante il periodo di luce, attraverso il Ciclo di Calvin-Benson.
In definitiva, nel pericarpo della drupa esistono due meccanismi de carbossilazione: 1) alla luce, la CO2 può fissarsi mediante la Ribulosio 1,5 bifosfato carbossilasi (Rubisco) e ridursi fotosinteticamente, mediante il ciclo di Calvin, per produrre fosfato triosi; 2) al buio, il bicarbonato può essere fissato dalla fosfoenolpiruvato carbossilasi (PEPCasi) per formare ossalacetato che, successivamente, viene ridotto a malato dalla NAD-malato deidrogenasi.
La fotosintesi dei frutti svolge, quindi, un ruolo importante nel “rifissare” la CO2 prodotta dalla respirazione mitocondriale dei fotoassimilati portati dal floema.
Esperimenti ad hoc (Sanchez et al., 1995) hanno verificato che la fotosintesi dei frutti contribuisce positivamente, in abbinamento a quella delle foglie, alla crescita del mesocarpo e alla biogenesi dell’olio.
Queste ricerche appaiono molto importanti e potrebbero costituire interessanti spunti per migliorare l’attività fotosintetica fogliare e la traslocazione degli zuccheri verso le drupe al fine di creare un “serbatoio” di materiale respirabile e, quindi, di CO2 utile per l’attività fotosintetica delle drupe stesse e per la loro crescita. Inoltre, in situazioni di stress che riducono l’attività fotosintetica, l’applicazione di intermedi del ciclo di Krebs, direttamente sulle piante, potrebbe evitare il “blocco” delle attività metaboliche e permettere di “bypassare” temporaneamente la prima parte delle reazioni della fotosintesi. In questo modo alcune vie biosintetiche (es. sintesi di alcuni amminoacidi, clorofille, ecc.) continuerebbero la loro attività evitando “turbe” fisiologiche alla pianta.
Poiché l’uomo dipende, in modo completo e assoluto, dalle piante superiori per le sue necessità vitali, è assolutamente necessario che egli acquisisca una conoscenza completa della fisiologia vegetale, senza la quale ogni intervento sulla pianta potrebbe non condurre a nessun risultato utile in termini quali-quantitativi, oppure potrebbe comportare alterazioni della coltura e/o dell’intero agroecosistema. 

Silverio Pachioli per l’Accademia dei Georgofili