La siccità, da sola, non uccide i vigneti
Il 2024 sarà sicuramente ricordato, almeno al Centro e Sud Italia, come la peggiore annata per l’agricoltura. Purtroppo, in molte situazioni, agricoltori e tecnici si sono ritrovati impreparati ad affrontare situazioni e risvolti non facilmente gestibili con un complesso di nozioni teorico-pratiche classiche che, generalmente, sono focalizzate quasi esclusivamente alla gestione fitopatologica delle tipiche avversità biotiche delle colture negli ambienti mediterranei.
Il discorso siccità andrebbe affrontato in un’ottica molto più ampia rispetto alla classica carenza di acqua, considerando anche gli eccessi di temperature e di radiazione e le pratiche agro-colturali messe in atto dagli stessi agricoltori nei diversi agroecosistemi. In definitiva la siccità, per le piante, è uno stress multiplo causato dall’interazione di deficit idrico, alte temperature e alte intensità luminose (Medrano et al., 2002, Ann. Bot.).
Una siccità come quella del 2024 non si era mai vista e, come accade in queste situazioni, ci si è trovati impreparati nell’adottare anche le più semplici azioni di limitazione dei danni.
La viticoltura, in questo contesto climatico bizzarro, si è ritrovata a subire le maggiori conseguenze negative, sia per l’elevata superficie della coltura a livello nazionale e sia perché, almeno a livello di alcune località e situazioni, non è stata capace, negli anni, di “rinnovarsi” pienamente e giustamente per adottare nuove pratiche mitigatrici degli eventi climatici avversi ed estremi.
Il mercato dei prodotti vitivinicoli, abbastanza favorevole degli ultimi anni, ha favorito velocemente l’impianto di nuovi vigneti in zone e situazioni non sicuramente eccellenti dal punto di vista pedoclimatico o, se si vuole, del terroir. Spesso sono state effettuate valutazioni affrettate nella scelta dei portinnesti, cultivar, cloni, lavorazioni di base e gestione successiva della chioma.
Poca importanza è stata data alla corretta scelta del sito di impianto, alla correzione di eventuali “difetti” del terreno, alla carenza “cronica” di sostanza organica, alla gestione di eventuali sorgenti idriche, alle forme di allevamento “resilienti”, ecc.
Ma i cambiamenti climatici, volendo o non volendo, sono pronti a “erodere” silenziosamente tutto quello che, non gestito correttamente dall’uomo, risulta esposto alla furia di una natura divenuta ormai incontrollabile.
La terra è, ormai, esausta e consumata dalla cronica mancanza di sostanza organica, l’unica vera “riparatrice” di danni portati avanti in lunghi anni di sfruttamento produttivo degli agroecosistemi.
Platone ci ricorda come «La nostra terra è rimasta, in rapporto a quella precedente, come lo scheletro di un corpo consumato dalla malattia. Le parti molli e grasse della terra sono andate via, e non resta che una carcassa nuda».
È arrivato il momento di riflettere anche sui danni da siccità sulla nostra viticoltura del Centro e Sud Italia per capire se qualcosa in più si poteva fare. Ed essendo la vite una coltura arborea ci si deve riferire a quanto si poteva fare non in un giorno, ma in un arco di tempo medio-lungo.
Oggi, è sotto gli occhi di tutti come la siccità, con i relativi danni, si sia particolarmente manifestata: 1) negli impianti più produttivi o in quelli “esauriti” da anni di “superproduzioni”, dove la vite non ha avuto il tempo di ricostituire le sue sostanze di riserva e di “difesa”; 2) in quei terreni poveri di sostanza organica; 3) su portinnesti molto vigorosi e poco adattabili in situazioni di stress; 4) su sistemi di allevamento/potatura particolarmente espansi e non adatti, probabilmente, ai cambiamenti climatici in atto; 5) su terreni gestiti con continue lavorazioni meccaniche da anni, ecc.
Solo guardando attentamente e ragionando in campo ci si renderà conto di come affrontare nuove annate climaticamente “sfavorevoli” poiché queste saranno, in futuro, la regola e non l’eccezione.
A tutto ciò bisogna aggiungere sempre la necessità di introdurre velocemente nelle aziende nuovi Know-how per agricoltori e tecnici che saranno chiamati a saper gestire le anomalie climatiche e gli impatti di queste sulle colture agrarie.
Anche la scuola dovrà dare il suo contributo con l’aggiornamento dei programmi e con una formazione “più pratica” dei futuri professionisti che, aimè, troppo spesso, quando escono dagli istituti o dalle Università, sono ben lontani dalla realtà dei fatti e delle cose che avvengono in campo.
Silverio Pachioli per Accademia dei Georgofili