La redistribuzione del valore lungo la filiera è il tema centrale in materia agricola

In Europa è diventato cruciale il dibattito sul cibo sintetico, con la Coldiretti in prima linea nel sensibilizzare politici e opinione pubblica sui rischi di un’apertura legislativa da parte dell’UE. Attualmente cosa prevede la legge europea, fin dove si può spingere la sperimentazione?

Attualmente la normativa comunitaria non prevede una vera e propria regolamentazione del settore. La Commissione Europea, stando alle parole del Commissario Wojciechowski in una interrogazione del 21 dicembre 2021,  non sta lavorando ad alcuna iniziativa legislativa in relazione alla carne coltivata in laboratorio. 

Tuttavia il Regolamento (CE) n. 1829/2003, relativo agli alimenti e ai mangimi GM, definisce la procedura di autorizzazione per l’immissione in commercio di un OGM o di un alimento o un mangime GM; ne stabilisce i requisiti specifici in materia di etichettatura e fissa la soglia di tolleranza della presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM. 

Gli operatori interessati presentano una domanda di autorizzazione per ciascun OGM e i suoi possibili impieghi alimentari all’Autorità nazionale competente di uno Stato membro.
Il dossier con le informazioni relative all’OGM è valutato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che invia il parere alla Commissione europea e agli Stati membri, mettendo a disposizione del pubblico il dossier per le eventuali osservazioni.

Nell’ambito della normativa comunitaria sarà la Direzione generale per la Salute a ricevere le eventuali richieste di autorizzazione, per poi trasmetterle all’Efsa. L’Autorità dovrà stabilire se la carne sintetica è sicura e nutriente come quella convenzionale.

Si aspetta tale richiesta da parte degli operatori economici di cibo sintetico nei primi mesi del 2023.

Uno dei “cavilli” di chi promuove tale sperimentazione riguarda la paventata sostenibilità ambientale. Ma c’è chi dice il contrario. I decisori politici come dovrebbero affrontare la questione? Chi sarà l’arbitro di questa contesa?

Occorre attuare una valutazione contemperata tra la annunciata sostenibilità ambientale e le emissioni nocive per l’ambiente nella fase produttiva; inoltre il dibattito etico e politico nasce attorno al concetto di omologazione alimentare che rischia di minare la diversità alimentare, le tradizioni dei singoli paesi e più in generale la caratterizzazione di ogni singola parte del mondo.

Ci sono organizzazioni di categoria che stanno richiedendo al legislatore nazionale una legge che vieti la produzione, l’uso e la commercializzazione del cibo sintetico in Italia. Il concetto di sovranità alimentare lascia presagire che troveranno nel governo Meloni un approdo sicuro. Tuttavia sono del parere che la riflessione sul tema debba essere molto più profonda ed ancorata a criteri scientifici e non ideologici.

In America pare che la bolla sia già scoppiando. Ormai il sistema agroalimentare pare soggiogato alle leggi della finanza. La legge può mettere un freno alle speculazioni? Quali sono i paletti che andrebbero messi?

In America la Food and drug administration (Fda) ha approvato per la prima volta un prodotto a base di carne “coltivata” a seguito della richiesta da parte dell’azienda Upside Foods. Pertanto a breve gli americani vedranno sulle loro tavole il cibo sintetico. Mi sembra prematuro parlare di speculazioni finanziarie in una fase storica in cui ancora non vi è stata richiesta alla Direzione Generale per la Salute nell’ambito UE. Non esistono strumenti giuridici per controllare le logiche del mercato alimentare ma sicuramente bisogna lavorare su altri fronti: potenziare le filiere corte, incentivare il recupero della tradizione agroalimentare locale e programmare una politica comunitaria tesa a premiare l’etica alimentare.

In Italia ormai c’è convergenza sul fatto che bisogna innovare le filiere innovandole dall’interno per adattarle alle dinamiche del mercato. Parliamo di redistribuzione del valore lungo la filiera, ma che rischi invece corre il nostro sistema da una possibile apertura?

La redistribuzione del valore lungo la filiera è il tema centrale in materia agricola. Le sperequazioni non sono più controllabili e gli strumenti previsti dal legislatore comunitario sembrano essere insufficienti. Per questa ragione ritengo che la PAC debba ispirarsi sempre più a criteri di prossimità e vicinanza ai territori: occorre guardare alle esigenze della filiera calibrandole al territorio in cui essa è inserita. L’apertura non è un rischio se viene bilanciata da logiche di spesa compatibili ai luoghi in cui si esercita. Sarebbe bello prima affrontare e risolvere questi problemi e poi iniziare a discutere sulla necessità di produrre cibo sintetico.

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