Intervista al presidente Ismea, Prof. Angelo Frascarelli: “L’agroalimentare italiano ha bisogno di filiere che creino valore”

“Servono marchi per farsi riconoscere dal mercato un prezzo in linea con l’alta qualità”

  • Presidente Frascarelli, durante il suo mandato quale sarà il ruolo di ISMEA, in questa fase di pianificazione del futuro del sistema agricolo italiano; quali le sfide e le opportunità?

Ismea ha tre ruoli fondamentali per l’agroalimentare italiano. 

In primo luogo, si occupa dello sviluppo delle imprese e del sostegno finanziario ai progetti di sviluppo delle filiere agroalimentari italiane. Questa attività viene realizzata sia con interventi di finanza agevolata ma anche a condizioni di mercato. Proprio in questi giorni è operativo lo sportello “ISMEA investe” che prevede interventi di equity, quasi equity, prestiti obbligazionari e strumenti finanziari partecipativi di importo compreso tra 2 e 20 milioni di euro per sostenere progetti di sviluppo nei settori della produzione primaria, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli e agroalimentari, distribuzione e logistica.

Si tratta di un ventaglio di funzioni che vogliamo rafforzare per supportare il comparto agroalimentare, migliorando continuamente la nostra azione. Nei prossimi mesi, Ismea intende riorientare alcuni strumenti come le misure che finanziano l’acquisto di terra o alcune misure di finanza agevolata.

Il secondo ruolo di Ismea riguarda la gestione rischio, quindi parliamo dei servizi assicurativi. Un settore che innoveremo attraverso grandi e importanti novità che afferiscono soprattutto all’applicazione della nuova Pac. L’UE sta potenziando i servizi assicurativi ed Ismea in Italia è il principale artefice di questo rinnovamento. 

Il terzo ruolo riguarda l’analisi mercati agroalimentari, compito che Ismea svolge storicamente. Vogliamo essere più performanti nell’orientare le imprese a compiere scelte strategiche. Parliamo, quindi, di un servizio di analisi utile a trarre inferenze e a creare più valore per nostre imprese nonché consentire agli operatori della filiera di operare in un contesto più trasparente nel quale si riducono le asimmetrie informative.

  • Lei ritiene che attualmente ci sia una equa redistribuzione della ricchezza nel comparto agroalimentare? Come si può creare maggiore integrazione tra gli anelli che la compongono?

Il primo obiettivo nelle politiche agroalimentari deve essere quello di creare valore per la filiera, valore che abbia un impatto a tutti i livelli della filiera stessa. In Italia il comparto annovera casi di eccellenza, parliamo delle filiere del vino, del formaggio, della trasformazione carni, mentre altre filiere vivono una situazione diametralmente opposta – nell’ottica sempre della creazione del valore – e mi riferisco all’ortofrutticola e a quella cerealicola. 

Il valore crea, tra le altre cose, una maggiore redditività che va equamente divisa tra gli attori coinvolti. L’anello della produzione primaria è sicuramente quello più penalizzato, ma sono sicuro che la situazione è destinata a cambiare in un futuro prossimo. Anche per merito del consumatore che non si limita più a cercare informazioni che ineriscono i processi produttivi ma adesso compie scelte sono orientate anche dalla condotta etica di un’azienda, tra cui una giusta remunerazione all’agricoltore e ai lavoratori.

  • C’è un problema comune che condividono le filiere agroalimentari?

Il comparto agroalimentare è “spaccato a metà”. Affianchiamo eccellenze straordinarie (come dicevo vino, formaggi, carni lavorate, pasta, alcuni casi dell’ortofrutta) a filiere che non funzionano o funzionano meno. 

In quelle che funzionano bisogna ripartire meglio il valore per dare più remunerazione agli agricoltori; nelle altre bisogna favorire la differenziazione e l’organizzazione. È un periodo positivo: il Made in Italy sta crescendo, nell’attenzione nazionale e internazionale. Stiamo andando nella direzione giusta.

Faccio un esempio su tutti e porto all’attenzione la filiera della pasta. In questo settore la differenziazione è iniziata, il mercato offre sia pasta da 60 centesimi al chilo, ma offre anche pasta da 6 euro al chilo. La differenziazione di prodotto è un fattore positivo. La differenziazione la fa il consumatore! È un processo che in questa filiera è iniziato da poco, mentre per altri prodotti il processo è cominciato da diverso tempo, come per i formaggi, il vino e le carni lavorate, giusto per fare qualche esempio capace di chiarire la dinamica ai vostri lettori.

  • Presidente Frascarelli, in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese nella filiera agricola e alimentare, ISMEA avrà un ruolo ben definito, in virtù dell’ultimo decreto legislativo del 4 novembre 2021 che attua la direttiva europea del parlamento e del consiglio dell’UE?

Il ruolo precipuo di Ismea in questo caso è quello di calcolare i costi di produzione al fine di dare un riferimento all’azione ispettiva della repressione frodi (ICQRF) che è il soggetto incaricato all’applicazione della direttiva. I costi produzione sono il punto di partenza, il riferimento per avviare indagini in alcune filiere dove c’è il sospetto di una pratica sleale nel momento in cui applicano prezzi di acquisto inferiori ai costi di produzione.

Quello assegnato ad Ismea è un ruolo sicuramente importante, servirà ad avere maggiore conoscenza e ad acquisire una maggiore trasparenza. Forniremo, alle Istituzioni preposte al controllo, gli strumenti per capire situazioni di poca legalità.

  • In questi giorni il Governo ha rivelato che arriverà a stanziare 1,5 miliardi per attivare contratti di filiera. Su questa misura pare che l’Italia stia facendo da apripista in Europa. Qual è il suo parere sul percorso intrapreso fino ad ora con i Contratti di Filiera? Quale il futuro prossimo?

Sono convinto che l’integrazione di filiera sia indispensabile. Il passaggio dal prodotto agricolo alla tavola deve essere organizzato, efficiente, ma deve trasferire valore! Scusi se torno sull’argomento, ma è strategico.

I Contratti di Filiera sono sicuramente uno strumento importante per portare avanti questa integrazione nell’ottica dell’efficienza e della performance economica da parte di tutti gli attori coinvolti. Ma non è il solo strumento per portare avanti questi obiettivi, ci sono anche le cooperative, le organizzazioni dei produttori o le reti. Certamente il Contratto di Filiera è quello privilegiato. Ma faccio un distinguo: non bisogna finanziare contratti di filiera che operano in filiere notoriamente inefficienti o, comunque, che siano solo una aggregazione non realmente strutturata di progetti. È importante, invece, che i nuovi bandi pongano attenzione alla reale integrazione di filiera dei vari progetti che partecipano al contratto, che il contratto sia evidentemente orientato a portare il prodotto finale ad un valore più alto, al fine di soddisfare la domanda di chi è disposto a pagare un prezzo più alto perché consapevole dell’altissima qualità che c’è dietro quel prodotto. Infine, ma non per importanza, è fondamentale che la parte agricola del contratto ottenga dei benefici reali.

Bisogna premiare quei progetti che affiancano all’efficienza tecnica il valore di prodotto. L’esempio del parmigiano reggiano deve fare scuola.

  • Due battute su due crisi che stiamo vivendo in Puglia: prezzo del latte e prezzo delle olive. Lei cosa ne pensa?

La questione del prezzo del latte è un caso emblematico per spiegare ciò che dicevo pocanzi. Si sta discutendo di aumentare il prezzo del latte alla stalla di 4 centesimi; parliamo di un forte contrasto tra due anelli della filiera che verte su un aumento di pochi centesimi della materia prima. Io ritengo che già oggi la vitalità degli allevamenti sia compromessa dall’aumento dei costi di produzione e 4 centesimi non basteranno ad invertire il trend, andranno tutt’al più a coprire i costi di produzione.

Nel breve termine è quindi importante l’aumento del prezzo latte per pareggiare la bilancia, ma nel lungo termine bisogna però creare più valore. Quando asserisco che il parmigiano reggiano deve essere un esempio mi riferivo proprio a questo. Oggi il tavolo di concertazione per la definizione del prezzo del latte si scontra per portare i prezzi da 38 a 44 centesimi, mentre il parmigiano reggiano remunera 62-70 centesimi e non si preoccupa di ciò che succede sul mercato. Dobbiamo lavorare per creare più valore ai nostri prodotti, altrimenti rischiamo sempre di morire di prezzi bassi.

Un altro esempio che lei citava è quello della filiera olivicola. Il prezzo basso deriva dal fatto che non siamo riusciti a fare una differenziazione di prodotto e ci troviamo costretti a competere con i prezzi europei. Bisogna cancellare dalla cultura imprenditoriale la parola “materia prima”: servono prodotti di alta differenziabilità, con una impronta green sostenibile, che siano capaci di veicolare una storia e valorizzino un retaggio, ovvero siano veicoli di cultura, di tradizioni. Certo poi serve ammodernare gli oliveti attraverso una meccanizzazione ormai indispensabile perché è anche un obbligo abbassare i costi di produzione. Anche, la filiera olivicola pugliese deve iniziare a parlare di olio e raccontare il prodotto.

A cura della Redazione Foglie TV

21/12/2021

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