Intervista al Presidente di Legacoop Agroalimentare Cristian Maretti

A cosa attribuite la mancanza di manodopera in agricoltura e quanto incide il reddito di cittadinanza ?

La mancanza di manodopera in agricoltura è una questione che viene da molto lontano e che afferisce a diversi ordini di ragione. In primis al cambiamento strutturale delle imprese agricole che da aziende familiari, che utilizzavano come manodopera parenti e familiari, si sono sempre di più configurate come imprese strutturate e che quindi hanno necessità di una maggiore organizzazione, un maggior numero di operai e anche una durata di attività in campo. In molti casi, in territori con uno sviluppo accelerato di espansione, tale esigenza si è riuscita a soddisfare attraverso i flussi di immigrazione organizzata e legale dai paesi dell’est; in altri casi si è sopperito con una riconversione di alcuni lavoratori che erano arrivati in maniera illegale. 

La mancanza di manodopera oggi non credo che sia un problema particolarmente legato ad ammortizzatori sociali come il reddito di cittadinanza, quanto piuttosto al fatto che comunque lavorare in campagna è abbastanza complicato, è duro e spesso le campagne di raccolto non sono così lunghe come altre lavori stagionali per cui c’è forte competizione tra i lavoratori che possono scegliere tra diverse opzioni e solitamente scelgono l’opzione che assicura remunerazioni migliori ed una durata lavorativa di giornate occupate maggiore. 

Quali sono le vostre proposte per migliorare questo strumento?

Il reddito di cittadinanza è uno strumento che ha svolto una funzione di salvaguardia dei ceti sociali più deboli. E’ un qualcosa che quella cosiddetta parte attiva del mercato del lavoro non ha centrato come obiettivo e quindi sicuramente un miglioramento di questo strumento si impone. Non so se ci sono le condizioni politiche oggi per inserirlo in agenda, sicuramente a noi farebbe comodo una maggiore flessibilità degli importi compatibili col reddito di cittadinanza sulla base ad esempio di una piccola quantità di lavoro, magari anche solo un numero limitato di giornate per quelle attività agricole che hanno una maggiore concentrazione di giornate, tipo la vendemmia. Parliamo di produzioni che configurano un monte giornate talmente basso che dal punto di vista politico dovrebbero andare a turbare le motivazioni dell’erogazione del reddito di cittadinanza e fornire un numero di persone a quelle imprese interessate da picchi produttivi difficilmente programmabili e non sempre valutabili in anticipo per una programmazione annuale delle quote di di lavoratori provenienti dall’estero. 

Come si può migliorare il lavoro agricolo?

Il lavoro agricolo, come tutti gli altri lavori in Italia e in Europa, ha subito molte modifiche negli ultimi anni e molte di queste modifiche sono oggettivamente ascrivibili ad miglioramento delle condizioni di lavoro che afferiscono agli orari, al tema delle protezioni individuali o alla minore incidenza di infortuni dovuta alla grandissima quantità di ore di formazione che viene offerta dagli imprenditori agricoli e da parte delle cooperative che noi rappresentiamo.

Certamente quando si pensa al lavoro agricolo in senso classico la mente ci riporta alle foto del cosiddetto bracciante che è in mezzo al campo. Ciò magari non trova aderenza 

nella realtà: il lavoratore agricolo oggi è anche una persona che fa la cernitrice in una linea produttiva o che si occupa del controllo di qualità delle pesche o della frutta e lavora in come se fosse in una fabbrica, quindi con le tempistiche e le dinamiche che si configurano in altri settori. 

Come migliorare il lavoro agricolo? Si deve dare maggiore attrattività rispetto a fasce sociali o cittadini italiani che vogliono investire la propria vita in questo tipo di percorso lavorativo. In Italia abbiamo una grande offerta formativa, offerta dagli istituti tecnici, che può dare qualità al lavoro agricolo attraverso le nuove tecnologie, la meccanizzazione e la digitalizzazione che connotano l’agricoltura 4.0. Credo sia importante dare, a questo lavoro agricolo, maggiori competenze, perché i lavoratori agricoli non sono solo quelli che staccano un frutto da un albero.

Quale ruolo attribuite agli enti bilaterali per l’intermediazione della manodopera?

Gli enti bilaterali sul lavoro agricolo hanno svolto un ottimo lavoro e soprattutto dal punto di vista degli aspetti assicurativi e di integrazione anche salariale. Sicuramente la parola intermediazione nel settore agricolo reca con sé ancora molte difficoltà ad essere pronunciata. Le esperienze migliori anche nell’ambito cooperativo in cui si trovava a mettere insieme la necessità di lavoro agricolo dentro uno stabilimento di condizionamento e trasformazione del prodotto, con le necessità dei soci agricoli nel momento della raccolta ha spesso trovato, dal punto di vista della normativa vigente, degli ostacoli e grande diffidenza. In questo senso probabilmente c’è stato anche un ritardo nell’elaborazione di tutti quei percorsi sul lavoro agricolo di qualità che sono arrivati solo negli ultimi anni mentre invece noi la necessità di organizzare il lavoro agricolo tra il lavoro svolto in cooperativa e lavoro svolta casa dei soci delle nostre cooperative lo abbiamo da almeno 20/ 22 anni. Naturalmente oggi c’è una difficoltà a recuperare quei percorsi perché si rischia di essere considerati dei caporali semplicemente perché si vuole mettere a disposizione le proprie strutture e le proprie modalità organizzative per dare un servizio ai propri soci. Ecco questa cosa poi allontana, da parte delle nostre cooperative, la volontà di inserirsi e di dare una mano offrendo questo tipo di soluzione. Negli ultimi anni spesso questo problema è stato trattato spesso in maniera un po’ ideologica e di conseguenza non è facile poter ripartire con un percorso diciamo dal basso. Ce ne sarebbe bisogno però e probabilmente è anche l’unica vera ipotesi fattibile rispetto a un problema così complesso come l’organizzazione delle giornate, viste le diversità produttive dei vari territori.

A cura della Redazione di Foglie TV

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