Innovazione varietale oppure nuova mezzadria?

Se 10 aziende detengono il 70% del mercato dell’innovazione Varietale, abbiamo un problema e quindi vi pongo una domanda.

La butto lì, come sempre, per sparigliare le carte in tavola. Tuttavia questa provocazione vuole smuovere un pó di cervelli sia dei Porno-Agricoltori che dei Porno-Commercianti, ben più istruiti sul tema (dalle mie parti si dice che ne sa più il patito che il saputo; ma in qualche modo chi vi scrive ne ha patito e ne continua a patire).

La mia domanda è questa: come va regolamentato il “mercato” dell’innovazione varietale? Come uscire dal gioco perverso nel quale chi fa ricerca diventa anche chi vende l’innovazione determinando l’andamento del mercato al consumo? Sembrano interrogativi banali, però di fatto difficili da rispondere.

La selezione vegetale è praticata da migliaia di anni da agricoltori in cerca di caratteristi- che auspicate come rese più alte, resistenza alle malattie o miglior sapore. Vivaisti e agricoltori la effettuano ancora, ma l’industria è dominata dalle aziende. In cima alla lista figurano le ricche multinazionali: dieci tra le più grandi aziende detengono il mercato tra sementi e vegetali inclusa la frutta tra cui la nostra cara amata uva da tavola e si stima che controllino, attraverso incorporazioni e acquisizioni, almeno il 70%. Ed io mi chiedo: i nostri nonni erano mezzadri, i nostri padri erano agricoltori, noi imprenditori agricoli.

Ma siamo sicuri che non siamo altro che i nuovi mezzadri 4.0? Chi fa il mercato? Chi elabora le strategie? Chi influenza il consumatore creando nuovi bisogni? Chi ha il potere di cambiare gli stili di vita?

Concordo con coloro i quali sono sempre più preoccupati da questa ineluttabile tendenza a brevettare tutto, poiché rischia di far convergere il mercato, in misura ancora maggiore, nelle mani delle grandi società.

Inoltre se la tecnologia genomica, progredirà e sempre più governi la consentiranno, entro vent’anni oltre il 50% delle nuove varietà sul mercato mondiale avrà almeno un tratto distintivo genomicamente modificato.

Ma non è solo la tecnologia in sé a costituire un problema, è questione di rapporti di potere e del sistema agro-industriale che vi sta dietro. Certo tra di voi c’è chi dirà: “ok, ma chi la paga la ricerca?”. E’ vero! Se qualcuno investe è giusto che tragga il giusto ristoro economico E come sempre il nostro sistema di ricerca è un tallone d’Achille per tutto il comparto agroalimentare, in- fatti delle 10 società nessuna è made in Italy Ragioniamo gente, ragioniamoci!

Trovo giusto che si paghi chi fa ricerca pagando royalties, ma altro è controllare il mercato attraverso dinamiche poco trasparenti e monopolistiche.

Perché se così fosse tanta differenza dai vecchi mezzadri non ci sarebbe: saremmo meri esecutori che gestiscono la produzione (come loro vogliono)con i nostri soldi e sul nostro Territorio. Evviva la Sovranità Alimentare!

Editoriale a cura di Donato Fanelli

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