In calo il numero delle start up in agricoltura

Si ferma il PIL, ma anche il trend di crescita delle start up si arresta. E ciò costerà all’Italia una perdita di 27 mila addetti e 2,5 miliardi di fatturato persi. A dirlo è il Cerved nel dossier “Le imprese nate nel 2022 e il contributo economico delle start-up”: lo scorso anno sono nate in Italia 10.587 imprese in meno (-10,6%) rispetto al 2021, per un totale di 89.192 nuove realtà, in diminuzione (del 5,9%) anche sul 2019, quando per la prima volta si è invertito un trend positivo che durava dal 2013.

Già nel 2022, quindi, il “rimbalzo” della nostra economia mostrava importanti segnali di arresto. A pesare su questo dato sono variabili di tipo macro-economico (aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse), ma soprattutto l’outlook ed il grado di incertezza sul futuro: il peggioramento delle aspettative dovuto a guerra, crisi energetica e inflazione ha frenato l’iniziativa imprenditoriale.

La ricerca mette in luce un ulteriore elemento: le start-up rappresentano il più importante driver di crescita occupazionale della nostra economia. Il calo delle nascite di nuove imprese è un segnale da non trascurare: le start-up sono una leva di trasformazione del nostro sistema economico, apportano idee innovative, tecnologia e competitività.

E l’agricoltura ha bisogno di nuova linfa, e chi vi scrive è colui che ha sempre speso il proprio impegno nella valorizzazione delle start up (e delle idee, soprattutto, che esse sottendono) come asset di un sistema-economico. Ritengo che si sia sempre parlato di resilienza, capacità di adattamento del comparto all’evoluzione economica; ma poco si è parlato di quanto l’agricoltura abbia necessità di rafforzare il tessuto economico sociale che permette a queste nuove imprese di germogliare e quindi di crescere.

Se il terreno non è fertile non ci saranno mai idee imprenditoriali visionarie, anti-sistemiche, innovative (per abusare di un termine caro più ai burocrati che fanno i bandi e non sanno neanche che cosa intendiamo per innovazione). Non basta l’innovazione. Manca la visione. La necessità impellente di un visionario che sente il bisogno di mettere in pratica una idea che va oltre ciò che già si fa o si progetta di fare. Mancano le idee, mancano i visionari. E mancano i soldi. Quelli veri. Voi chiamateli pure capitali, io li chiamo “soldoni”. Sempre più difficili da reperire se non sei figlio di nessuno o se non hai qualcosa da dare in garanzia.

Parliamo di questo: parliamo di come un giovane start-upper può acquisire il budget necessario a finanziare una nuova impresa, capace di sconvolgere le regole del mercato o, magari, creare un nuovo mercato. Basta con questa resilienza.

Parliamo invece di supportare il coraggio di chi va in controtendenza e decide di investire in agricoltura partendo da zero, e non facendo “split” con l’azienda di famiglia o coi capitali della stessa. Parliamo di chi vuole mettere le proprie competenze al servizio del nostro settore per creare le condizioni per un upgrade del comparto. Siamo sicuri che lo stiamo supportando nella scelta.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Editoriale a cura di Donato Fanelli

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