IL VINO ITALIANO ALLA PROVA DEL FUTURO. Meno aziende, più export, mercati instabili e una filiera che cambia volto

Nel 2024, il numero di aziende vinificatrici italiane è sceso sotto la soglia delle 30.000. Solo tre anni fa erano oltre 37.000. Il dato, per quanto tecnico, racconta molto più di quanto sembri: dietro quei numeri c’è una trasformazione strutturale profonda che interessa tutta la filiera. Le imprese più piccole fanno fatica a reggere l’urto della concorrenza, dei costi crescenti, della burocrazia e di una domanda sempre più esigente. Il risultato è una selezione naturale che concentra la produzione in meno mani, in territori più forti, con strutture più organizzate. Nel frattempo, la produzione torna a salire: 44 milioni di ettolitri nel 2024, con un +15% rispetto alla vendemmia 2023, una delle più scarse dell’ultimo decennio. L’Italia si conferma primo produttore mondiale, davanti a Francia e Spagna, ma la ripresa va letta con cautela. Non si tratta di una nuova fase espansiva, bensì di un recupero tecnico dopo una battuta d’arresto. Le condizioni climatiche restano incerte e la gestione del vigneto è sempre più difficile per effetto di ondate di calore, piogge improvvise, grandinate e malattie fungine.

Anche il profilo della produzione sta cambiando: oggi il 60% del vino italiano è bianco, il 37% rosso e il 3% rosato. È un’inversione storica, figlia dei gu- sti del mercato, che premia freschezza, bevibilità e bollicine. Non a caso, gli spumanti hanno raggiunto

i 7,6 milioni di ettolitri (+4%), pari al 17% della produzione nazionale. A fare da motore è soprattutto il Nord-Est, con Veneto, Friuli e Trentino che da soli rappresentano oltre un terzo della produzione com- plessiva. La crescita della Glera e del Pinot grigio ne è la prova: varietà che hanno saputo intercettare la domanda estera e posizionarsi in maniera solida nelle carte dei vini di tutto il mondo.

Consumi interni fermi, export in crescita costante

Sul mercato interno si registra una sostanziale stabilità. Gli italiani hanno consumato nel 2024 circa 22,3 milioni di ettolitri di vino, pari a 37,8 litri a persona. È un dato che conferma il declino lento ma continuo dei consumi interni, ormai lontani dai livelli storici degli anni ’70 e ’80, quando si supera- vano anche i 100 litri pro capite. Oggi il vino è sem- pre più un prodotto di qualità e meno di quantità, più legato a occasioni di consumo e meno presente nella quotidianità.

A sostenere il comparto è l’export, che continua a crescere sia in volume che in valore. Nel 2024 l’Italia ha esportato 21,7 milioni di ettolitri (+3,2%) per un valore di 8,1 miliardi di euro (+5,5%). Il vino si conferma così la prima voce dell’export agroalimentare italiano, con una quota del 12% sul totale. I principali mercati restano Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Canada, ma si segnalano crescite im- portanti anche in Russia (+40% in volume), Giap- pone, Austria e Paesi Bassi.

Tra le categorie, gli spumanti fanno segnare l’incremento più marcato: +12% in volume, +8,9% in valore, con il Prosecco in testa, ormai simbolo della viticoltura italiana all’estero. I vini a Denominazione d’Origine (DOP) rappresentano il 68% del valore totale esportato e oltre la metà dei volumi. Anche le IGP mantengono una buona posizione, mentre calano i vini comuni e varietali. Il messaggio è chiaro: i mercati internazionali premiano sempre più l’origine certificata e la qualità percepita.

Un sistema a Indicazione Geografica sem– pre più sbilanciato

L’Italia conta 529 denominazioni tra DOP e IGP. È una delle ricchezze del nostro sistema vitivinicolo, ma anche una delle sue complessità. Oggi, il 75% del vino prodotto è potenzialmente certificabile come IG, ma solo il 55% finisce effettivamente in bottiglia con una denominazione. E se si guarda al valore, la concentrazione è evidente: le prime 20 DOP coprono il 77% del fatturato complessivo. Il Prosecco da solo vale il 28%. Seguono Delle Venezie, Montepulciano d’Abruzzo, Chianti, Sicilia, Alto Adige, Trentino.

Anche tra le IGP si nota un forte squilibrio. La Puglia copre da sola il 18% dei volumi, seguita da Veneto, Emilia-Romagna, Sicilia e Toscana. Questo scenario alimenta un dibattito acceso: da un lato, le IG sono strumenti fondamentali per la valorizzazione del territorio; dall’altro, molte denominazioni minori faticano a emergere e rischiano di diventare solo nomi su carta. Senza una vera politica di promozione e supporto, alcune rischiano l’oblio.

Nel frattempo, anche la mappa del vigneto Italia sta cambiando. Il Veneto ha superato la Sicilia per superficie vitata, diventando la regione leader. Aumentano le superfici anche in Friuli e Trentino, mentre si riducono in modo netto in Liguria (-66% dal 2000), Lazio (-59%), Basilicata (-43%), Calabria (-41%) e Sicilia (-30%). È una ritirata silenziosa, che porta con sé la perdita di biodiversità e l’indebolimento di economie locali.

I vitigni che crescono sono quelli più richiesti dal mercato estero: Glera, Pinot grigio, Chardonnay. Perdono terreno varietà storiche come Sangiovese, Montepulciano, Merlot, Barbera, Trebbiano. Questo orientamento produttivo, se da un lato è comprensibile, dall’altro impone una riflessione: l’identità del vino italiano rischia di appiattirsi su pochi modelli?

Ritorno economico, prezzi e gestione del rischio

Il settore vale circa 14 miliardi di euro, pari al 10% dell’intero comparto agroalimentare italiano. Ma non tutte le fasce produttive crescono allo stesso ritmo. I vini comuni hanno visto un rialzo dei prezzi alla produzione del +35,8%, a fronte di una minore disponibilità di prodotto. Le DOP, invece, segnano un -1,2%. L’indice medio dei prezzi alla produzione è aumentato del 10,7%, ma si tratta di un dato che nasconde dinamiche molto diverse al suo interno. Anche la gestione del rischio si conferma un punto debole. Solo il 9% delle aziende agricole italiane è assicurato contro eventi climatici. E se si guarda all’uva da vino, nonostante sia tra le colture più assicurate, nel 2024 si è registrato un calo del 12% nei valori coperti. Le motivazioni sono note: burocrazia, costi elevati, sfiducia nelle compagnie e procedure di liquidazione troppo lente. Il nuovo Piano di gestione del rischio (PGRA 2025) ha introdotto strumenti come la Polizza semplificata e il fondo Agricat, per rafforzare la risposta alle calamità, ma la cultura della prevenzione fatica a decollare. ISMEA ha avviato una strategia più integrata: formazione, strumenti digitali, sinergie tra pubblico e privato. Tuttavia, finché la gestione del rischio resterà una scelta opzionale e non un elemento strut- turale della pianificazione aziendale, difficilmente il sistema potrà fare un salto di qualità.

Governance, dati e promozione: un modello da aggiornare

La governance del sistema vino oggi è più che mai strategica. Il Comitato Nazionale Vini DOP e IGP lavora per garantire l’aggiornamento dei disciplinari e la coerenza del sistema delle denominazioni. Il Ministero sostiene la promozione attraverso l’OCM vino, con interventi destinati ai mercati extra-UE. Ma oggi serve un passo in più: una regia forte che integri promozione, analisi, gestione e innovazione. Un esempio positivo è l’accordo tra ISMEA e il Consorzio DOC Delle Venezie, che ha dato vita a un modello basato sull’uso dei dati per supportare le decisioni strategiche.

L’obiettivo è trasformare le informazioni in strumenti operativi per la filiera, anticipando i trend di mercato e migliorando la programmazione. È una direzione che potrebbe essere estesa ad altri territori e consorzi, soprattutto in una fase dove l’intuizione da sola non basta più.

Il vino italiano ha alle spalle una storia di successi, ma guarda al futuro con sfide nuove e complesse. I segnali di forza non mancano: qualità riconosciuta, presenza globale, varietà e radicamento territoriale. Ma sono anche evidenti le fragilità: concentrazione produttiva, riduzione del tessuto aziendale, cambiamenti climatici, disparità territoriali. La sostenibilità – economica, ambientale, sociale – sarà la chiave per affrontare i prossimi anni. Il tempo delle scelte è ora.

Articolo a cura di Antonietta Cea