Il ruolo fondamentale della manodopera straniera nell’agricoltura Italiana

Il settore agricolo italiano ha subito notevoli cambiamenti negli ultimi decenni, caratterizzati da una diminuzione delle aziende agricole (-30% tra il 2010 e il 2020) e una progressiva riduzione della manodopera familiare. Questo declino è stato compensato da un aumento significativo della manodopera salariata, cresciuta del 38% nello stesso periodo, passando dal 24% al 47% della forza lavoro complessiva. Di questa, la componente straniera è aumentata dal 25% al 33%, con oltre 425.000 lavoratori nel 2020 (dati ISTAT, Censimento 2020).
Caratteristiche della Manodopera in agricoltura
I lavoratori stranieri nel settore agricolo italiano sono prevalentemente maschi (78,5%) e di origine extracomunitaria (60%). Le nazionalità più rappresentate includono Romania, India, Marocco e Albania. Tuttavia, è stato osservato un calo significativo della manodopera proveniente dai paesi dell’Est Europa (-34% per i rumeni tra il 2018 e il 2022), a causa di migliori opportunità nei paesi di origine. Al contrario, si registra un aumento dei lavoratori da paesi asiatici come Bangladesh e Pakistan.
Dal punto di vista economico, i lavoratori stranieri percepiscono salari significativamente inferiori rispetto ai lavoratori italiani. La stagionalità e la discontinuità lavorativa rappresentano le principali cause di questa disparità.

Contributo Regionale
La distribuzione della manodopera straniera è estremamente variegata a livello regionale. Le regioni del Nord (Trentino-Alto Adige, Piemonte, Emilia-Romagna) mostrano una forte incidenza di lavoratori stranieri, spesso superiore al 50% della forza lavoro agricola. Al contrario, regioni del Sud come Puglia, Calabria e Sicilia, pur registrando una significativa presenza di stranieri, rimangono al di sotto della media nazionale, fatta eccezione per alcune colture altamente specializzate come le fragole in Basilicata.
In termini di specializzazione produttiva, i lavoratori stranieri sono maggiormente impiegati in coltivazioni permanenti (45%), seminativi (19%) e ortofloricoltura (14%). Alcuni settori specifici, come la viticoltura in Toscana e la raccolta di mele in Trentino, vedono una prevalenza quasi totale di manodopera straniera.
Cambiamenti Post-Pandemia
La pandemia di COVID-19 ha messo in luce la vulnerabilità del settore agricolo rispetto alla disponibilità di manodopera. Durante il 2020, sono state attuate misure straordinarie, come i corridoi verdi per facilitare l’arrivo di lavoratori stagionali dall’estero. La crisi ha spinto alcune aziende a stabilizzare una parte della manodopera, con un incremento degli operai a tempo indeterminato (+8% tra il 2018 e il 2022), segnale di una parziale evoluzione organizzativa del settore.
Regioni Virtuose
Alcune regioni italiane si distinguono per iniziative innovative e risultati virtuosi nell’integrazione della manodopera straniera:
- Trentino-Alto Adige: Con una manodopera straniera che supera il 70% in alcune aree, questa regione ha sviluppato sistemi di reclutamento e gestione avanzati, supportati da programmi di formazione specifici per la raccolta delle mele e la viticoltura.
- Emilia-Romagna: La regione si distingue per politiche di stabilizzazione del lavoro e un uso efficace di fondi europei per migliorare le condizioni lavorative e abitative dei lavoratori stagionali.
- Toscana: La viticoltura e altre coltivazioni permanenti beneficiano di una forte presenza straniera. Progetti di formazione linguistica e tecnica hanno favorito una migliore integrazione e un aumento della produttività.
Il contributo dei lavoratori stranieri è cruciale per il settore agricolo italiano, non solo per soddisfare le esigenze di manodopera, ma anche per garantire la competitività di alcune produzioni chiave. Tuttavia, la dipendenza da contratti temporanei e le disparità salariali evidenziano la necessità di politiche attive che migliorino le condizioni lavorative e favoriscano una maggiore stabilità contrattuale.
Fonti: Dati ISTAT (Censimenti 2010 e 2020), Osservatorio INPS sugli stranieri e studi CREA (2024).
Articolo a cura di Francesca Galizia