I consumi di vino biologico raddoppiano negli ultimi 10 anni

Il consumo di vino biologico a livello mondiale è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni e rappresenta ora il 3,5% del consumo totale. Tale evoluzione è stata sorretta da una costante espansione della superficie destinata alla viticoltura biologica che nel 2019 (ultimi dati disponibili) valeva poco meno di 470mila ettari, di cui circa 400mila in Europa (11,4% della superficie vitata), continente nel quale Italia, Francia e Spagna si contendono il primato con circa 100mila ettari a testa.

Lo ha ricordato Claudio Ioriatti, dirigente del Centro trasferimento tecnologico della Fondazione Edmund Mach (FEM), introducendo l’incontro dedicato a “Difesa e sostenibilità in viticoltura biologica” che si è tenuto oggi nella sede della Fondazione a San Michele all’Adige (Trento), in collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg. All’iniziativa hanno partecipato tecnici, esperti, viticoltori e operatori del settore.

Per quanto riguarda la situazione fitosanitaria 2022 nelle aziende biologiche trentine, le infezioni primarie di peronospora, come nel 2021, sono state più aggressive nelle zone tardive e di montagna, mentre quelle secondarie sono state impedite dalla scarsità di precipitazioni. L’oidio è comparso precocemente ma è aumentato significativamente sui testimoni non trattati solo nella seconda metà di luglio. La difesa a base di rame e zolfo consigliata alle aziende viticole bio ha permesso di mantenere grappoli sani per la quasi totalità delle situazioni. Si conferma invece una problematica molto seria la flavescenza dorata. Nei vigneti della FEM, infine, è stata presentata la prova di “curetage”, l’asportazione del legno cariato con piccole motoseghe, eseguendo delle incisioni più o meno profonde nei ceppi di vite. Tecnica che permette di ridurre la manifestazione dei sintomi di mal dell’esca.

Nel corso del focus sono stati inoltre presentati i risultati di alcuni progetti. “Intaviebio” (finanziato dal PSR Friuli-Venezia Giulia) per ridurre l’uso del rame nella viticoltura bio, ha verificato l’efficacia di alcuni sali rameici a diversi dosaggi di applicazione in condizioni controllate di laboratorio. Uno studio sull’”impronta ambientale” in viticoltura (impronta di carbonio, idrica, di azoto, indici di biodiversità e di qualità del suolo), che ha visto la collaborazione scientifica tra FEM e le Università della Campania e della Tuscia, ha dimostrato “come l’uso integrato di tali indici possa aiutare gli agricoltori ad evidenziare la maggiore sostenibilità di buone pratiche, ad esempio la gestione biologica rispetto a quella convenzionale nei vigneti sperimentali della Fondazione”. E’ stato poi illustrato un progetto per la gestione sostenibile che nasce dalla collaborazione tra FEM e le aziende bio Pratello e Mille1 di Padenghe sul Garda, nel Bresciano. Con un approccio multidisciplinare si è puntato al miglioramento dei cicli produttivi mediante l’utilizzo di pratiche agronomiche sostenibili, il mantenimento della fertilità e della biodiversità dei suoli e il potenziamento della resilienza dei sistemi produttivi ai cambiamenti climatici. E’ stato valutato inoltre l’effetto del sovescio sulla nutrizione dei vigneti, che ha mostrato il suo contributo nel miglioramento della fertilità chimica e biologica del suolo coadiuvando la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.

Va ricordato che il Trentino è fra le regioni italiane con una maggiore incidenza della superficie a vite per uva da vino coltivata con metodo biologico (13,3%): nel 2021 ha raggiunto i 1.368 ettari con un ulteriore incremento di 66 ettari rispetto al 2020 delle superfici certificate biologiche e in conversione.

Fonte: Askanews

 

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