Green deal, tra il dire e il fare c’è di mezzo la PAC

Per indole non amo molto le frasi motivazionali “da Bacio Perugina”. Tuttavia ne ho ascoltata una che, evidentemente, ha lasciato il segno e dice: iniziare un percorso induce sempre ad avere paura, ma passo dopo passo acquisiamo la consapevolezza di quanto fosse pericoloso restare fermi. Voglio, quindi, applicarla alla notizia che vede la Corte dei Conti bacchettare gli stati aderenti nell’aver annacquato i propri piani nazionali PAC, allontanandoli dagli obiettivi verdi. Tra l’ambizione ‘verde’ della nuova politica agricola comune (PAC) riformata nel 2021 e i piani nazionali che la dovrebbero mettere in pratica c’è “un abisso”. I paesi europei hanno usato tutte le misure di flessibilità e le deroghe previste dalla riforma, e molti hanno ridotto o ritardato l’applicazione delle misure necessarie per ottenere i fondi da Bruxelles. Risultato? I piani nazionali PAC non sono molto più ‘verdi’ di prima. Indubbiamente la protesta dei trattori ha imposto un cambiamento di direzione “in corsa” e, tutto sommato, non era tanto illogico in quel momento contenere il malcontento facendo delle concessioni per mezzo di deroghe. Ma tutto si è fermato lì, invece quello era il momento giusto per aprire una riflessione profonda su obiettivi, strumenti e, soprattutto contesto. Già, perchè lo scrivevamo in quel frangente storico: ogni politica di medio-lungo corso trova la sua coerenza ed efficacia se ben contestualizzata. In fase di progettazione, invece, è mancata una visione generale ed un approccio sistemico al comparto agricolo ed agroalimentare. Un approccio che ha, di fatto, colpevolizzato una figura, come quella dell’agricoltore che, in realtà, è sentinella dell’equilibrio ambientale, garante della biodiversità e promotore di uno stile di vita. Si è pensato, invece, ad agire attraverso una serie di restrizioni calate dall’alto senza un minimo di concertazione. Questo è stato il punto: non c’è stato il coinvolgimento dei diretti interessati che si sono sentiti traditi; la loro delusione e frustrazione li ha portati in strada più che in piazza. Il risultato è stato il clamoroso passo indietro delle istituzioni che hanno giocato in difesa. Un secondo errore di valutazione importantissimo, perchè quello era il momento di rimettere tutto in discussione, ripartendo da zero nel ragionamento prima che nelle misure, nella chiara consapevolezza che indietro non si torna, ma si può benissimo cambiare il modus operandi in questa fase di transizione. Si è, invece, preferito concedere le briciole dando qualche contentino che non risolve la situazione, anzi…la peggiora già nel medio termine. Siamo tutti consapevoli che varare politiche così ambiziose sia complesso, ma necessario. Però farlo così non ha senso, perchè chi vive le restrizioni continuerà a lavorare in un quadro di incertezza totale. Chi, invece, deve agire sugli output sarà costretto a ricalibrare gli impatti e le attese di queste politiche economiche. Il risultato? Non è uno zero a zero, bensì partita rimandata a data da destinarsi in un momento in cui i nostri competitor continuano a giocare senza regole e vincono le partite facilmente. Noi? Discutiamo così tanto sulle regole che, alla fine, non scendiamo neanche in campo.

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