follia 4.0! produrre e’ importante, sapere cosa coltivare (e per chi) e’ fondamentale

Chi governa il cambiamento? Quanto e quale potere hanno gli agricoltori in questa delicata e complessa fase di transizione? Sostenibilità. E’ una parola che conosciamo ormai da quasi un decennio, ma negli ultimi anni ha stravolto le vite di tutti coloro i quali fanno impresa. E’ l’orientamento che ha sostituito in modo repentino e forse anche brutale la visione con cui dal dopoguerra ad oggi si pensava l’agricoltura (prima di farla). In principio era la produttività. Il produrre sempre di più, a tutti i costi, senza curarsi neanche del mercato. Si doveva produrre in maniera intensiva, non badando allo spreco di risorse ed agli impatti ambientali, ma anche economici, sociali e paesaggistici. Poi la svolta, anzi direi una inversione a U mentre si andava a cento all’ora. Stop! Dobbiamo essere green. Ecco il mantra. Io lo chiamo il tappetto sotto il quale si deve nascondere la polvere. Oggi c’è una nuova sensibilità, dicono. I consumatori sono attenti a ciò che mangiano, dicono. Non ci sono più le casalinghe bensì i millennial che vogliono la birra che non sia birra ed il vino che non sia vino, aspettando che arrivi l’acqua che non sia acqua (pensate a tutti coloro i quali si sono rifiutati soltanto di immaginare l’uva senza semi all’epoca). E quindi oggi per stare sul mercato serve una certificazione che attesti che non usi determinati prodotti nei trattamenti. C’è una certificazione che attesta il tuo approccio etico. C’è una certificazione che dichiara che rispetti tutti i contratti e le leggi sociali per i tuoi dipendenti. Quindi puoi anche non produrre più, dicevano. E qualcuno li ha presi in parola tanto che si è iniziato a vendere il pacchetto per la raccolta dei meloni alla stessa stregua di un viaggio a Corfù. E quindi che produciamo a fare, ma soprattutto per chi produciamo? Gli italiani stanno lentamente abbandonando la Dieta mediterranea, i nostri ragazzi non mangiano più frutta e verdura, per non parlare del pesce (che tanto è ormai per lo più importato). Il carello della spesa si svuota per via dell’inflazione e della perdita del potere di acquisto. I salari in Italia sono rimasti al palo dagli anni ’90 e da un paio di anni il fenomeno del food social gap interessa anche il Bel Paese: c’è gente che non può permettersi cibo di qualità e ricorre sempre più al cibo a basso costo..per la serie che la qualità del Made in Italy la vendiamo ma non la acquistiamo più. E se tutti si rallegrano che l’export voli, io sono preoccupato perché stiamo poggiando interamente l’agricoltura sulle performance all’estero. Ma i competitor sono sempre di più e sempre più agguerriti e, per il momento, la concorrenza è sleale. Lottiamo ad armi impari: non c’è la stessa attenzione a monitorare i prodotti in ingresso rispetto all’infinita mole di procedure e restrizione cui siamo sottoposti noi qui. Parliamo di uso di sostanze in Europa proibite, ma parliamo anche di condizioni di lavoro ai limiti dell’umano. Non si tratta di dumping, si tratta di follia di una comunità economica che non riesce a rendere applicabili le proprie leggi e che, al contempo, demanda ai singoli stati membri l’attivazione e la gestione dei diversi dossier per l’apertura di nuovi mercati, limitando di fatto la loro potenza contrattuale ed il peso specifico negli accordi bilaterali. E in tutto ciò la domanda che io mi pongo è semplice: ma la barca chi la sta guidando? C’è forse un problema di rappresentanza o uno scollamento tra chi rappresenta ed il mondo produttivo. Oppure gli interessi sono davvero così abnormi che la partita è stata giocata ed il pedone è stato già sacrificato? Perché noi italiani di certo sappiamo fare agricoltura di qualità. E abbiamo una forte e spiccata sensibilità verso il green. Ma non lo dico, bensì i dati. Secondo i dati FAO aggiornati al 2021, Israele utilizza 14,56 chili di pesticidi per ogni ettaro coltivato, l’Olanda (Paesi Bassi) ne utilizza in media 10,86 chili per ogni ettaro, mentre in Spagna se ne utilizzano 2,59 chili per ogni ettaro coltivato. La Turchia ne utilizza 2,26 kg/ha e il Marocco 1,47 kg per ettaro ma il dato non faccia trarre in inganno perché sono minori le superfici coltivabili. L’Italia 5,38 chili, il Brasile 10,9 chili/ettaro, il Portogallo utilizza 5,23 chili di pesticidi per ogni ettaro e la Francia consuma 3,67 chili di pesticidi per ogni ettaro di coltivazione. Dunque in Italia paghiamo proprio la svolta green mitteleuropea che, però, riguarda le loro produzioni, non le nostre. Ma a rimetterci siamo soprattutto noi e la nostra agricoltura che perderemo terreno rispetto ai nostri concorrenti mediterranei.

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