Filiera del grano, l’aggregazione riduce l’impatto dei costi
Le quotazioni dei prodotti agricoli in tutto il mondo volano. A livello internazionale, secondo i dati della FAO, lo zucchero è aumentato del 29,8% portandosi al livello più alto osservato dal 2016, i grassi vegetali del 65,8% rispetto all’anno scorso mentre i prodotti lattiero-caseari sono cresciuti del 16,9% e quelli della carne del 12,7%. I prezzi internazionali dei cereali hanno raggiunto il livello annuo più alto dal 2012, in aumento in media del 27,2 % rispetto al 2020 con rincari che vanno dal 44,1% del mais al +31,3% del grano.
L’emergenza Covid sta innescando un cortocircuito sul fronte delle materie prime anche nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato nei mesi della pandemia i guasti della volatilità dei prezzi in un paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais. Si dice che con la pandemia si sia aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza con la Cina che entro la prima metà dell’annata agraria 2022 avrà acquisito il 69% delle riserve mondiali di mais per l’alimentazione del bestiame ma anche il 60% del riso e il 51% di grano alla base dell’alimentazione umana nei diversi continenti, con conseguenti forti aumenti dei prezzi in tutto il pianeta e carestie. E in Italia? Sull’onda lunga del caro energia e dell’aumento dei listini di grano e semola i produttori di pasta annunciano pesanti rincari. Un chilo di pasta che a settembre la grande distribuzione comprava a 1,10 euro, ora ne costa 1,40. E nei prossimi giorni può arrivare a 1,52 euro: un aumento del 38%. I produttori di pasta dopo l’estate avevano chiesto i primi 30 centesimi di aumento per far fronte all’aumento del costo della materia prima, il grano. Tra giugno e metà gennaio il prezzo del grano alla borsa di Foggia è cresciuto del 90%. Basti pensare che la semola assorbe al 60% il costo di produzione della pasta, è facile fare i conti. Con l’autunno sono arrivati i rincari del cellophane (+25%), il gas (+300%) e l’elettricità. A gennaio quindi sono stati chiesti altri 12 cent. Un aumento effettivo solo con gli ordini di gennaio. Alcuni stabilimenti produttivi si sono fermati per 15 giorni e nessuno ha comprato grano, ma alla riapertura hanno trovato un ulteriore aumento del 6%. Il grano italiano che oscilla intorno ai 56 centesimi al chilo (quotazione 11 gennaio) è il più basso al mondo, mentre il grano canadese è volato sino a 65 centesimi. Un gap che penalizzerà ancora di più le aziende produttrici di pasta perché pagheranno a peso d’oro la materia prima importata.
L’Intervista a VITO GIORDANO, PRESIDENTE CONSORZIO DI TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL GRANO DURO APPULO LUCANO
Il balzo dei beni energetici crea una vera e propria a valanga sui bilanci delle imprese agricole strozzate da aumenti dei costi che costringono a spegnere i trattori con il raddoppio dei costi delle semine. Cosa sta avvenendo?
E’ un qualcosa che balza agli occhi di tutti, ma poco comprensibile. A noi arriva la “mazzata” degli aumenti vicini al 300%. Siamo stati fortunati, noi cerealicoltori, perché quest’anno una congiuntura neanche ipotizzabile ha prodotto aumenti delle quotazioni consistenti.
Quali sono le prospettive per la prossima campagna di semina?
Il problema sta in un aspetto pratico. Chi ha avuto la forza o la lungimiranza di acquistare i prodotti sia agrofarmaci che fertilizzanti e quant’altro nel mese di settembre, pagandoli anticipatamente, ha avuto prezzi quasi in linea con l’anno scorso e seguirà. Nessun seme è sceso al di sotto degli 80 euro, quando l’anno scorso ne costavano 50€ al quintale. Per seminare un ettaro di terreno c’è bisogno di 3 quintali per ettari, si comprende bene la batosta iniziale. Facendo i calcoli oggi il costo di produzione fra i fertilizzanti, agro-farmaci, gasolio, acquisto mezzi si è almeno raddoppiato, secondo le stime più ottimistiche. Noi del Consorzio siamo stati un po’ fortunati, un po’ lungimiranti, avendo acquistato quasi tutto ciò che serve per portare a produzione i nostri campi. Faremo del meglio per ottenere qualità, oltre che quantità. Ma almeno l’80% dei nostri colleghi sta acquistando adesso con prezzi a mio dire insostenibili. L’urea, un azotato che ha rapporto qualità prezzo superiore a qualsiasi altro fertilizzante, l’anno scorso costava 27 euro, oggi siamo a 105 per quintale. Fare i conti, al rialzo, è semplice. Tutto ciò con le solite incognite che possono incombere sulla campagna: quotazioni, produzioni ed eventi atmosferici (che non mancano mai).
Sulla spinta dei beni energetici per gli agricoltori le operazioni colturali hanno subito rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario: parliamo di attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione. Conferma questi trend?
Oltre al gasolio, i mezzi agricoli moderni necessitano di AdBlue per abbassare emissioni. Il costo di questo prodotto è lievitato del 300%. Qualsiasi tipo di elemento di ricambio è lievitato in modo spaventoso. Non condivido le stime di un aumento del costo delle operazioni in campo che, per me, è di molto superiore al 50% in più.
Come si può fronteggiare questa situazione? Ci sono e se ci quali strumenti di mitigazione del danno chiedete al Governo?
Come sul costo dell’energia alle famiglie o alle imprese, i fertilizzanti (e tutto ciò che ruota intorno alla produzione) sono da intendersi come mezzi tecnici. Come si sta lavorando per trovare soluzioni alle imprese che utilizzando gas, ferro o quant’altro per produrre, il Governo dovrebbe intervenire per mitigare questi costi anche nel nostro caso.