Agroalimentare in ripresa

Editoriale | Finite le chiacchiere pensiamo ai problemi dell’agroalimentare

Sovranità alimentare, costi materie prime ed energie, Nutriscore, regolamento sull’uso dei fitofarmaci, piano dell’acqua e del suolo…

 

Guardando le interviste, i video, i comizi e (ahimè) i reel dei protagonisti di questa tornata elettorale appena conclusa, ho elaborato un riflessione (semplice, semplice): quando si parla di agroaimentare l’ovvio lo conosciamo tutti, i punti di forza e di debolezza del comparto li diamo per acquisiti, ma le soluzioni dei problemi (tanti) delle nostre filiere dove stanno?

Davvero pensiamo di rafforzare la nostra brand identity nazionale con il liceo del Made in Italy? Davvero crediamo che bastino i Contratti di Filiera per creare filiere virtuose che finalmente riescano a creare plus valore da redistribuire tra gli operatori al fine di equilibrare la redditività tra i diversi anelli? Davvero pensiamo che basti una campagna di comunicazione per azzerare gli impatti deleteri della concorrenza sleale di chi sfrutta l’italian sounding per truffare (sì, truffare) i consumatori? Davvero pensiamo che fatta una legge, giustissima, sulla concorrenza sleale ed il giusto prezzo, abbiamo invertito i rapporti di forza tra produttori e le grandi insegne nazionali ed europee sulle quotazioni di vendita all’ingrosso? Non ci prendiamo in giro, signori! Che siamo il paese con più DOP e IGP lo sanno pure i “pupi”.

Ok, ce le abbiamo. Ma qualcuno si è chiesto se molte DOP, in alcuni comparti, servano davvero a qualcosa o siano utili solo come “tacca” per le scrivanie dei produttori che, molto spesso, dimenticano pure di essere iscritti al Registro della Camera di Commercio? Facciamo i seri, perché di lavoro da fare ce n’è. Eccome se ce n’è! Qualcuno, per caso, si è chiesto come creare nuove filiere, trasversali al comparto agroalimentare? Penso alla filiera del legno che molti paesi viciniori stanno sfruttando appieno e che l’Italia, coperta per il 40% del suo territorio da foreste, non riesce a rendere redditiva, neanche penetrando nuovi segmenti di mercato.

Oggi il legno sta diventando strategico per sostituire la plastica, ma pare che ai policy maker non venga neanche in mente di supportare questo filone produttivo che può creare un grande impatto in termini di valore aggiunto e di posti di lavoro in aree rurali che si stanno mano a mano spopolando. Invece per noi le foreste sono solo un peso, un qualcosa da sorvegliare con migliaia di persone che potrebbero essere utilizzate almeno per censire un patrimonio inestimabile. Invece parliamo solo di vincoli. Già, i vincoli.

Per un paese come l’Italia che in un cinquennio ha abbassato la soglia di utilizzo dei fitofarmaci del 15%, mantenendo inalterati gli indici di redditività e i posti di lavoro delle filiere, l’imposizione del regolamento europeo per l’utilizzo dei fitofarmaci non può andar bene l’imposizione che si sta perpetrando.

E invece lunedì 26 ci troviamo ancora posizioni ancorate alla politica dei tagli “tout court”. I famosi “obiettivi target”. Netti. Drastici. Improrogabili. No, così non va! Bisogna dialogare con chi traina l’economia non solo italiana, ma anche europea. Sono allineato totalmente alle posizioni di Assomela: l’obiettivo di ridurre l’applicazione di prodotti fitosanitari richiede tempi realistici, che consentano l’introduzione di nuove soluzioni tecnologiche, tra cui ad esempio tecniche genomiche, e l’applicazione di alternative concrete che possano sostituire i prodotti esistenti mantenendo lo stesso grado di efficacia.

Un regolamento così impostato, frutto del Green Deal e della strategia Farm to Fork, appare oggi più che mai una proposta inadeguata e debole, in particolare per la mancanza di adeguati studi di impatto da parte delle autorità europee che non hanno considerato i possibili effetti sulle aziende conseguenti all’applicazione delle strategie.

Così, l’inevitabile calo della produzione agricola europea potrebbe aumentare la dipendenza dalle importazioni da Paesi terzi, di qualità e sicurezza meno verificabili, alle quali, al momento, non verrebbero applicate le stesse condizioni imposte ai produttori europei. E poi stiamo qui a parlare di sovranità alimentare. Se neanche riusciamo a sventare gli attacchi al nostro sistema agroalimentare che si stanno perpetrando sotto la scure dell’etichetta Nutriscore. Su questo fronte in questo numero riportiamo lo studio della Safe ONG che dice a chiare lettere che anche con le modifiche apportate, non ci siamo. E potrei parlare anche del problema acqua che va oltre le proposte (giustissime) di Anbi e Coldiretti, ripetute a menadito da tutti i candidati. Serietà. Lavoro. Tanto lavoro. Ma soprattutto “Rispetto”. Questo chiede il sistema agroalimentare italiano. Rimbocchiamoci le maniche.

Tutti, nessuno escluso. Perché questa grande bicicletta cammina, solo se pedaliamo tutti in sincrono e nello stesso verso.

Editoriale a cura di Donato Fanelli     SFOGLIA LA RIVISTA

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