Editoriale | Agricoltura: programmare per non morire

L’agricoltura ha bisogno di una nuova centralità all’interno dell’agenda politica nazionale ed europea. Le politiche del 2022 offrono, in questo senso, un’occasione unica per affermarla. Un’importanza che, a parole, è stata ben rappresentata da tutti gli schieramenti in competizione anche, e soprattutto, alla luce di come il comparto ha saputo reagire alla pandemia, traghettando la nostra nazione durante il lock-down.

Ai proclami, adesso, bisogna accompagnare atti concreti in favore del settore agricolo ed agroindustriale. Serve, oggi più che mai, una visione strategica ed un approccio pragmatico ai temi caldi dell’agricoltura, alla quale non serve una cura “forte e drastica” come serve al comparto industriale, ma le occorre un supporto che la renda più competitiva e performante sui mercati internazionali.

 Voglio, quindi, fare una domanda provocatoria: qualcuno si è accorto che l’agricoltura (così come la conosciamo noi) sta svanendo?

Il nostro territorio, in alcuni areali ed in un alcuni settori ben precisi (su tutti la cerasicoltura) sta dimostrando che alcune colture ed alcuni prodotti sono inadatti a ciò che il mercato chiede. In alcune filiere, qui in Puglia, siamo rimasti attaccati alle nostre produzioni più per amore per la tradizione che per il business, creando un ritardo lungo decenni che sarà difficilmente colmabile.

C’è un’agricoltura che sta precorrendo i tempi ed un’agricoltura che sta rimanendo indietro. E non è solo questione di una differente visione tra territori, per la serie Nord vs Sud. No! Come ben sosteneva Frascarelli in un’intervista pubblicata sul nostro magazine  (Clicca qui) “In Italia coesistono due tipi di agricoltura: quella che funziona e quella che non funziona”. Frascarelli affermava che esistono filiere che creano valore, distribuiscono ricchezza ed altre che restano in affanno, sbilanciate tra i vari anelli del ciclo, poco remunerative ed incapaci di creare valore. E, se vogliamo tornare all’esempio della filiera cerasicola, all’interno della stessa nazione c’è chi ha saputo creare un brand puntando sul marketing, sull’innovazione varietale, sulle reti di conoscenza con enti di ricerca ed università.

Donato Fanelli Editore Foglie TV
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Da Nord a Sud ci sono problemi comuni. Partiamo dalle contingenze che stiamo affrontando in questo periodo: l’aumento dei prezzi che secondo Coldiretti è costato finora 6 miliardi alle nostre imprese. Poi ci sono i problemi trasversali a tutte le filiere che riguardano un ambito più macro: il clima è ormai cambiato in modo irreversibile, c’è in atto un processo di tropicalizzazione che impatta sulle scelte colturali.

Scelte che dovranno tenere sempre più conto della disponibilità delle risorse naturali: l’acqua in primis. Ma ormai tra siccità, desertificazione di alcune aree, fragilità degli ecosistemi e batteriosi dobbiamo ripensare non solo il nostro modo di fare agricoltura, ma anche di intenderla. Tutta l’attenzione per il momento sembra riservata all’improcrastinabile transizione ecologica ed alle energie rinnovabili. Certo un tema centrale per chi dovrà prendere decisioni e pianificare politiche programmatorie a medio-lungo termine. Ma sta di fatto che oggi dobbiamo delineare un nuovo paradigma con cui approcciarci all’agricoltura.

Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo cambiare insieme, altrimenti rimarremo indietro per sempre, sprecando una dote dal valore immenso: il Made in Italy. Come ben diceva Draghi nel messaggio di saluto rivolto a Coldiretti durante il meeting con tutte le forze politiche: si devono mettere “le aziende nelle condizioni di poter lavorare e di programmare il futuro con fiducia”. Già: noi vogliamo programmare il futuro con fiducia perché il futuro di domani deve essere pensato oggi.

Editoriale a cura di Donato Fanelli

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