Ma c’è ancora posto per l’agricoltore?

L’agroalimentare cresce e l’agricoltura perde terreno. Tutto bene, quindi…finchè si fattura! L’anomalia tutta italiana, ma poi neanche una anomalia perché ci testimonia con i numeri quello che tutti sappiamo: l’agricoltura è un peso per l’agroalimentare. O meglio, serve…ma solo per lo storytelling. Per l’occasione voglio coniare un neologismo: serve per il “tricolore washing”. D’altronde sotto l’elmo di Scipio c’è spazio per tutti! Ma quanto belle sono le proiezioni di ISMEA: “Negli ultimi dieci anni il valore delle esportazioni di cibi e bevande è quasi raddoppiato (+81%), passando dai 33,5 miliardi di euro del 2013 a 60,7 miliardi del 2022. Analizzando l’insieme dei settori della produzione agricola e della trasformazione industriale, nel 2022 il valore aggiunto della filiera agroalimentare è arrivato a 64 miliardi di euro: 37,4 miliardi generati dal settore agricolo e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. In questa configurazione “ristretta”, il comparto rappresenta il 3,7% del valore aggiunto dell’intera economia italiana; inglobando le fasi a valle  della produzione alimentare, ossia distribuzione e ristorazione, si arriva al 7,7%, ma se si considerano anche i servizi e le attività necessari per far arrivare i prodotti dal campo alla tavola (trasporti, logistica, intermediazione), la stima del peso dell’agroalimentare sul Pil supera il 15,2%”. 

E fin qui l’effetto WOW tiene. Mizzica, direbbero gli amici siciliani. Beh, ma io voglio trovare il pelo nell’uovo. Le esportazioni crescono: si attesta al +7,6% il tasso di incremento medio annuo dell’export agroalimentare italiano nel decennio. Peccato che nessuno dica che l’import agroalimentare ha toccato i 63 miliardi con un aumento del 29,3% (dati diffusi dal Crea a fine ottobre). Dunque, come interpreto i dati? Che l’agroalimentare italiano sta sempre più facendo a meno dell’agricoltura, scesa al terzo posto in Ue persino dopo la Germania. 

Ma c’è da stare tranquilli, tanto c’è la PAC che riequilibra le posizioni. La PAC interviene con integrazioni al reddito degli agricoltori (i cosiddetti “pagamenti diretti”), con misure di tutela del mercato e stanziamenti per lo sviluppo rurale. Il 94% delle risorse stanziate nel 2019 sono andate ad aiutare direttamente gli agricoltori. Inoltre, la maggior parte dei pagamenti sono stati di piccola entità (inferiori a cinquemila euro), mentre solo l’1,93% dei beneficiari ha ricevuto più di 50 mila euro.

Attenti, però a leggere questi dati perché le statistiche di dove sono finiti i soldi veri fanno venire le vertigini. A spiegarlo sono i dati del gruppo di giornalismo investigativo europeo: “negli ultimi otto anni, l’1% delle aziende agricole europee ha incassato 150 miliardi di euro in fondi messi a disposizione dalla Politica agricola comune (PAC). Si tratta di un terzo dell’intera torta dei finanziamenti. È il risultato dell’ultimo aggiornamento di FarmSubsidy.org, sito che raccoglie tutti i dati sui beneficiari dei fondi PAC nei 27 Stati membri dell’Unione europea (più il Regno Unito). Quest’elaborazione, realizzata da FragDenStaat in collaborazione con Arena for Journalism, si basa sui dati relativi al periodo che va dal 2014 al 2021”. 

Sempre l’elaborazione appena citata rappresenta lo scenario italiano:  “Per l’Italia, tra i primi cinque beneficiari degli ultimi otto anni troviamo tre Associazioni di organizzazioni di produttori (AOP) e due Organizzazioni di produttori (OP). In pratica, non stiamo parlando di singole grandi imprese, che pure figurano nelle posizioni successive e hanno un loro peso, ma di enti di secondo o terzo livello che raggruppano numeri elevati di aziende agricole e agricoltori. Chi ha ottenuto più fondi in assoluto, superando i 238 milioni di euro, è l’AOP italo-francese Finaf, che si occupa di ortofrutta. Poi, sempre nello stesso settore, viene l’Associazione di Organizzazioni di Produttori Gruppo Viva con 174 milioni, quindi il consorzio olivicolo Unaprol (anch’esso AOP, con 73 milioni) e i giganti delle mele Vip in Val Venosta e Melinda in Val di Non (entrambe OP, con rispettivamente 72 e 60 milioni di euro). Le AOP Viva e Finaf sono anche tra i primi dieci beneficiari di tutta l’Unione europea”.

“La concentrazione di soldi della PAC alle OP c’è in tutta Europa, ma non va letta come concentrazione in poche mani, ma in tante mani. Significa favorire gli agricoltori che si aggregano”, commenta Angelo Frascarelli, professore associato del Dipartimento di scienze agrarie alimentari e ambientali presso l’Università di Perugia, ex presidente dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA).

Il professore ha pienamente ragione. Tuttavia la domanda è lecita: c’è ancora posto in Ue per il piccolo agricoltore. Perché come leggerete in questo numero di Foglie la gran parte delle aziende agricole in Ue è ancora a conduzione familiare. Ma i soldi si concentrano nelle mani di pochi che pochi gestiscono per conto di molti.

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