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Dagli anni Sessanta ad oggi il cambiamento climatico ha ridotto del 21% la produttività

A causa degli impatti del riscaldamento globale si stima una riduzione della produttività del 21% negli ultimi sessant’anni. Ad affermarlo è uno studio della Cornell University pubblicato su Nature Climate Change in cui, grazie a una serie di indicatori e modelli, è stato stimato quanto il cambiamento climatico abbia inciso sullo sviluppo agricolo in oltre mezzo secolo. Se da una parte sono stati fatti enormi progressi nel campo dell’agricoltura per nutrire un Pianeta con sempre più abitanti, dall’altro le temperature elevate e i vari effetti della crisi climatica hanno posto un freno, una perdita, quantificabile in 7 anni.

L’economista Ariel Ortiz-Bobea, professore della Cornell University e autore dello studio, spiega che “sostanzialmente il cambiamento climatico ha spazzato via circa 7 anni di miglioramenti nella produttività agricola negli ultimi 60 anni. E’ equivalente a premere il pulsante di pausa sulla crescita della produttività nel 2013 e immaginare che da allora non si siano verificati miglioramenti. Il cambiamento climatico antropogenico ci sta già rallentando”.

Considerando oltre 200 variazioni sistematiche di un modello sviluppato per ottenere i risultati raggiunti e basato sul collegamento dei cambiamenti di anno in anno delle misure meteorologiche e della produttività agricola, quello che emerge nella ricerca è che in alcune aree soprattutto del sud del mondo l’agricoltura ha incassato i colpi più duri della crisi climatica.

“Quando puntiamo la lente su diverse parti del mondo – continua l’economista – scopriamo che gli impatti storici del cambiamento climatico sono stati maggiori nelle aree già più calde, comprese parti dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia. La maggior parte delle persone percepisce il cambiamento climatico come un problema lontano ma invece è qualcosa che sta già avendo un effetto ovunque. Dobbiamo affrontare il cambiamento climatico ora in modo da evitare ulteriori danni per le generazioni future”.

Allo studio hanno collaborato anche i ricercatori dell’Università del Maryland (Umd) e della Stanford University che hanno rimarcato come l’agricoltura globale stia diventando sempre più vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico. Robert Chambers, professore di economia agricola dell’Umd ha spiegato come sia sempre più complesso, per gli agricoltori, stabilire la produttività e sempre più fondamentale, come nello studio pubblicato, inserire misurazioni legate ai dati meteo.

“Quando un agricoltore prende una decisione economica per esempio su cosa piantare a giugno, non sapremo necessariamente il risultato di tale decisione fino a sei mesi dopo. C’è una netta rottura tra input e output, e eventi casuali come il maltempo possono influenzare gravemente i risultati. La produttività è essenzialmente un calcolo dei tuoi input rispetto ai tuoi output e, nella maggior parte dei settori, l’unico modo per ottenere la crescita è con nuovi input. La misurazione della produttività agricola non ha storicamente incorporato i dati meteorologici. Vogliamo conoscere le tendenze per questi input che sono fuori dal controllo dell’agricoltore “.

Lo studio, in particolare, ha calcolato la produttività agricola sia in presenza che in assenza dei cambiamenti climatici. In certe zone del mondo, come Africa, America Latina e Caraibi, che hanno un clima più caldo, i rallentamenti della crescita produttiva sono stati del 26-34%, mentre per esempio negli States si parla di 5-15%. “Si prevede che avremo quasi 10 miliardi di persone da sfamare entro il 2050 – conclude Chambers – quindi è importante assicurarci per il futuro che migliori la nostra produttività agricola o sarà motivo di seria preoccupazione”.

da: Repubblica.it, 7/4/2021