C’è carenza di manodopera, ma è tutta colpa del reddito di cittadinanza?

La quota include lavoratori assunti con contratti part time, si tratta nel complesso di circa 5 milioni di persone. In Italia, è inutile nasconderlo, abbiamo un problema di salari: secondo i dati Eurostat, gli stipendi dei giovani sono tra i più bassi d’Europa e la disoccupazione nel 2021 ha toccato il 23,3%. Secondo una ricerca di OpenPolis, nei Paesi europei Ocse l’Italia è l’unico Stato che tra il 1990 e il 2020 che ha avuto una decrescita nei salari annuali medi, pari al -2,9%. La Spagna, che è al penultimo posto, è comunque cresciuta del 6,2%. 

Ma l’attenzione mediatica è incentrata sul reddito di cittadinanza. C’è davvero questa consequenzialità tra la fruizione del RdC e la mancanza di manodopera generica?

Se l’agricoltura e tutti i comparti che prevedono un impiego massivo di manodopera generica non trovano risorse umane, è (tutta) colpa di questo strumento inaugurato più di 40 mesi fa. In ogni paese europeo – l’Italia è stata l’ultima a introdurlo – esiste una rete di protezione contro la povertà che tutela le persone che non lavorano. Va tenuto conto peraltro che non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza sono disoccupati: il 20,1 per cento rientrano infatti nella categoria dei “woorking poor”, vale a dire lavorano ma ricevono uno stipendio talmente basso che deve essere rimpinguato dal reddito di cittadinanza. Anche lo stesso sussidio di disoccupazione va a chi un impiego lo aveva e l’ha perso. Il punto è un altro: il reddito di cittadinanza riesce a portare i beneficiari a una condizione sociale e, quando possibile, lavorativa migliore?

Secondo l’ultimo report dell’Inps tra gennaio e aprile più di un milione e mezzo di famiglie hanno ricevuto l’aiuto, vale a dire 3 milioni e 362mila persone. La prima notizia è che si tratta di un numero leggermente più basso rispetto allo stesso periodo del 2021, il primo calo dall’introduzione del sussidio. A dimostrazione che, fortunatamente, il rimbalzo economico che ha seguito la pandemia ha dato la possibilità, a chi voleva e poteva cercare un lavoro, di trovarlo. I numeri dell’Inps possono anche contestualizzare una delle critiche che spesso vengono rivolte al reddito di cittadinanza: quella dei “furbetti”. Cioè di coloro che truffano l’Inps e tutti i contribuenti ricevendo gli aiuti nonostante non ne abbiano effettivamente bisogno, grazie a lavoro in nero ed evasione fiscale. L’istituto di previdenza in tre anni ha revocato, a seguito di controlli, il reddito di cittadinanza a più di 158mila famiglie. Un numero che sembra elevatissimo, ma che se confrontato con il numero di nuclei beneficiari raggiunge una percentuale tra il 2 e l’8 per cento (infatti non si dispone di numeri precisi sulle famiglie che almeno una volta in questi anni hanno incassato il Rdc). Per di più l’Inps ha chiarito che la più frequente ragione di revoca non è la scoperta di redditi e patrimoni non dichiarati, ma l’assenza dei requisiti di residenza in Italia per gli stranieri.

Ma sono tutti concordi – partiti, economisti e parti sociali – che il punto debole del reddito di cittadinanza sia l’assistenza nella ricerca di un impiego. Dei più di 3 milioni di beneficiari, quelli che secondo Anpal – l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro – possono realisticamente lavorare sono circa 1 milione. Gli altri sono inabili al lavoro, minorenni, studenti o sono obbligati a casa per occuparsi di un famigliare a carico. Chi può lavorare è obbligato a sottoscrivere un patto per il lavoro, e a seguire un percorso di reinserimento a cui avrebbero dovuto contribuire i famigerati “navigator”. Anpal sottolinea che anche chi rientra in queste liste non ha un profilo semplice: la maggior parte non lavora da almeno tre anni. E tra chi invece un contratto lo ha ottenuto, solo uno su dieci ha lavorato per almeno 18 mesi.

Ma ciò non giustifica il fallimento della strategia del ministero del Lavoro. È ancora l’Anpal a pubblicare un numero che non lascia spazio a dubbi: del milione di beneficiari chiamati a trovare un lavoro, meno della metà – in tre anni dall’introduzione – è stato “preso in carico”. Un’espressione tecnica che significa aver avviato il percorso di accompagnamento al lavoro, con la sottoscrizione del patto per il lavoro e gli incontri di orientamento e di ricerca di un nuovo impiego. Ciò significa che centinaia di migliaia di persone non si sono mai presentate ai centri per l’impiego, né sono state contattate.

Il governo aveva pure tentato di riformare il reddito di cittadinanza nell’ultima legge di bilancio. E finalmente oggi arriva il chiarimento dell’INPS dopo le modifiche contenute nella legge di bilancio 2022: sgravio anche per le assunzioni a tempo determinato e part-time. Ed un quinto del bonus potrà essere fruito anche dalle agenzie per il lavoro che hanno agevolato l’assunzione. Si amplia, dunque, l’esonero contributivo in favore dei datori di lavoro che assumono percettori di RdC. Da quest’anno l’incentivo spetta non solo per l’istaurazione di contratti di lavoro full-time a tempo indeterminato, ma anche per quelli a tempo parziale e/o a termine. Ed, inoltre, potrà essere fruito anche dalle agenzie per il lavoro per il lavoro di intermediazione svolto (nella misura del 20% di quanto corrisposto al datore di lavoro). Lo rende noto l’Inps nel messaggio n. 2766/2022 pubblicato ieri ad illustrazione della novella contenuta nella legge di bilancio 2022 (legge n. 234/2021).

Servirà questo chiarimento a sbloccare il mancato matching tra domanda ed offerta di lavoro?

A cura della Redazione di Foglie TV

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