Aspettando il 2023 per capire cosa si intende per “Sovranità alimentare”

Sovranità alimentare. E’ forse il trend topic dell’anno, l’argomento principale di cui tutti hanno parlato con insistenza da quanto la compagine attualmente al Governo ha vinto le elezioni.

L’accoppiamento tra queste due parole ha, forse, creato un corto circuito semantico perché in molti vi hanno visto una eco del sovranismo, ovvero di quella tendenza neo-nazionalista a riaffermare l’autorità dei popoli come valore supremo rispetto alle politiche cooperativistiche e solidaristiche dell’Unione Europea.

E non poco allarmismo ha creato anche ciò che accadeva in Gran Bretagna alle prese con la Brexit, i cui effetti sulla economia si sta ancor oggi palesando con tutti i suoi svantaggi ed i suoi impatti negativi sulla popolazione e sull’economia. Giustamente i più avveduti, cioè coloro che di sovranità alimentare ne parlano da decenni, si sono affrettati a chiarire che la sovranità alimentare non c’entra né con il sovranismo, né con l’autoarchia. Ecco perché per capire il significato di sovranità alimentare, si deve fare riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli, così come spiegato da Carlo Petrini:

Il principio cardine è l’autodeterminazione dei popoli nella scelta delle proprie politiche agricole affinché siano in sintonia con il tessuto ecologico, economico e sociale e garantiscano l’accesso a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato […]Sostenere la sovranità alimentare significa schierarsi contro pratiche inique e dannose portate avanti dall’agroindustria (monocoltura, uso pesante della chimica di sintesi, cibi ultraprocessati), così come anche da una buona parte della grande distribuzione organizzata; ponendo invece al centro il diritto al cibo sano e nutriente per tutti, insieme ai diritti umani fondamentali, e la salute del pianeta. Vuol dire riconoscere il ruolo chiave dei piccoli produttori di ogni tipo, contadini e agricoltori a conduzione familiare, con donne (principali custodi della sovranità alimentare delle famiglie nel mondo) e giovani (da cui dipenderà l’alimentazione del futuro), in primo piano. È anche rivendicare l’importanza di pratiche agroecologiche, con una maggiore facilità di accesso a terra, acqua e semi; contro la monocoltura e le pratiche di tipo estrattivista. Così come affermare l’importanza di rafforzare i sistemi alimentari radicati nel territorio rispetto alle catene di approvvigionamento globali che si sono dimostrate in tutta la loro vulnerabilità, prima con il Covid-19 e poi con il conflitto in Ucraina. Se applicata correttamente la sovranità alimentare crea una tensione positiva tra dimensione locale e globale e permette ai popoli di essere davvero liberi nella scelta di cosa produrre e consumare, mettendo al centro il benessere delle persone e del pianeta ”.

Dunque la domanda che tutti si pongono, come si declina il concetto di sovranità alimentare nel concreto? Su quali pilastri strategici poggia? Quale visione ispira? Quale approccio alla cultura del cibo impone? Perché se è vero che la sovranità alimentare non è un concetto nostalgico e passatista (il caffé di cicoria non tornerà a essere l’unico disponibile), e nemmeno una chiusura rispetto al mondo esterno (continueremo a mangiare banane e ananas), bisogna capire come impatterà sulle politiche agricole a breve e medio termine. 

Solo il 14 dicembre l’Assessore Regionale alle Politiche Agricole, Donato Pentassuglia, intervenuto ad una assise di un sindacato agroalimentare asseriva:

“Aspetto  con ansia un incontro col Ministro Lollobrigida perché sono curioso di capire come va declinata questa sovranità alimentare, come andrà ad impattare sulle strategie programmatorie nazionali e regionali. Perché sinceramente non lo abbiamo capito e forse non lo ha capito nessuno”.

Al di là di cambiare il nome del Ministero, la sovranità alimentare comporta una scelta ideologica di fondo: si pone come obiettivo una regolamentazione del mercato in difesa di un tipo di agricoltura certo più sostenibile, ma anche localmente connotata in tutte le sue dinamiche.

In una Italia agroalimentare che punta sempre più all’export è un bene o un male? In un’era nella quale si sta tornando al latifondismo (e le politiche agricole europee contro la frammentazione del tessuto imprenditoriale ne sono la riprova) è ancora possibile tutelare e valorizzare il piccolo contadino che produce per sé e per il vicino di casa? A queste domande il Governo dovrà dare una risposta con i fatti e con gli atti, altrimenti questa “sovranità alimentare” rimarrà uno spot elettorale.

Potrebbe interessarti anche...