Aggreghiamo competenze e non moltiplichiamo posizioni politiche

Sogno di mezzo autunno. Mentre nascono movimenti, si accavallano comitati, associazioni, organizzazioni e sigle (Op, Oi, Ats, Ati e chi più ne pensa, più ne aggiunga)…,provo a svegliarmi dall’ enorme babele di questo sogno!

Che sia un’utopia lontana quella che l’aggregazione torni ad essere tale con la A maiuscola?
Mettiamo da parte i campanilismi, gli egocentrismi ed uniamoci veramente, andiamo oltre il ruolo nella filiera, il titolo politico o il comune di appartenenza. Se vogliamo creare un vero network, dobbiamo cambiare forma mentis ed iniziare a praticarla l’unione, anziché sbandierarla.

Voglio elaborare una mia riflessione, libera da preconcetti e pregiudizi. Io ritengo che il sistema agroalimentare italiano e pugliesi presenti alcune peculiarità riconducibili da un lato alla sua complessità, dall’altro alla sua forte eterogeneità. La complessità, che d’altronde si ritrova anche nelle altre realtà europee, deriva dal forte processo di integrazione fra le diverse componenti del sistema, dall’agricoltura all’industria di trasformazione, alla grande distribuzione, fino ai rapporti con il consumo finale e la sicurezza alimentare, ma anche dall’affermarsi di collegamenti sempre più stretti con gli altri paesi, in particolare europei, con un notevole incremento degli scambi di beni agricoli e alimentari, che hanno reso la realtà italiana sempre più aperta verso l’esterno.

La forte eterogeneità deriva dalle profonde differenziazioni strutturali e territoriali, esistenti nella realtà Italia e in quella pugliese.

Un aspetto critico della nostra agricoltura è senz’altro quello relativo al mancato ammodernamento delle strutture aziendali nel corso degli ultimi decenni. Il numero delle imprese agricole è assai più limitato rispetto all’universo aziendale che viene censito ogni anno, ma permane comunque una loro limitata dimensione fisica ed economica e ciò può avere importanti riflessi nella ricerca di nuove opportunità competitive per l’agricoltura
stessa.

Soltanto le imprese di più grandi dimensioni hanno e avranno infatti la capacità di adottare innovazioni tecnologiche, di inserirsi nelle filiere agroalimentari e di attuare efficienti strategie produttive, con una progressiva diminuzione dei costi di transazione interni, nonché di fronteggiare efficacemente le ripercussioni delle politiche comunitarie.

Le cause del mancato ammodernamento strutturale sono molteplici: dalle norme relative alla successione ereditaria che non tengono conto della specificità dell’azienda/impresa agricola, alle quotazioni elevate dei terreni nel mercato fondiario, che impediscono l’ampliamento delle superfici attraverso l’affitto o l’acquisto. Ma il mancato ammodernamento va anche ricercato nel forte impatto delle politiche comunitarie protezionistiche, che spesso hanno piuttosto prodotto la ricerca di flessibilità nell’utilizzazione del capitale umano (pluriattività) e nella organizzazione dei processi produttivi (contoterzismo).

Una risposta ai problemi strutturali dell’agricoltura arriva dall’aggregazione delle imprese, cioè dai nuovi strumenti di sviluppo messi a disposizione delle aziende agricole per lo sviluppo di nuove strategie orientate alla competitività.

L’aggregazione deve essere di tipo imprenditoriale e non politico-sindacale. Questa è la mia posizione e lo voglio dire a chiare lettere: è bene creare organi intermedi di rappresentanza che possano fare massa critica e ragionare sul percorso che sta compiendo la filiera, ma si deve puntare su politiche aggregative di tipo commerciale. Ciò che conta è una offerta organizzata che possa soddisfare la distribuzione organizzata. E se i più oggi vedono il male assoluto in quell’acronimo GdO, io invece ci vedo il futuro: non possiamo arrivare nei mercati di tutto il mondo senza una organizzazione che integri i diversi anelli. Certo il punto di incontro deve essere calibrato sul “giusto remunero”, sono d’accordo. Ma su questo giusto prezzo ci dobbiamo intendere: giusto prezzo per un prodotto ottimale che porta con sé un “plus valore”. E questo plus valore lo dà il mercato. E’ il mercato il giudice
imparziale, il metro di valutazione di ogni posizione. Siamo una economia liberale improntata al libero scambio.

Nonostante il Covid, la guerra ed i rincari nei trasporti abbiano messo in evidenza i limiti della globalizzazione, non ne siamo fuori: il mercato all’ingrosso oggi può contare su merce che arriva da ogni angolo più remoto del mondo che riesce a competere con noi. E se rimaniamo ancorati al “nostro prodotto è il migliore”, continueremo a cantarcela e suonarcela da soli.

Usciamo da questo impasse. E par farlo dobbiamo affidarci ai manager e non ai politici. Aggreghiamo competenze e non moltiplichiamo le posizioni politiche in una babele di voci che non produrrà nessun effetto, se non quello di dividerci!

Ma come ogni sogno, prima o poi mi sveglierò. Anzi sono già sveglio….ne parlerò nel mio prossimo editoriale.

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A cura di : Donato Fanelli – Editore

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